Il laboratorio per bambini trans e “gender creative”, organizzato dall’Università Roma Tre, è l’ultimo atto di una guerra culturale che cerca di strappare ai bambini il diritto di crescere in pace, senza la pressione di ideologie e politiche che non hanno nulla a che fare con il loro benessere reale.
L’idea stessa di coinvolgere bambini dai 5 ai 14 anni in un laboratorio che si propone di “ascoltare le loro storie” su questioni legate all’identità di genere solleva interrogativi profondi e inquietanti. A cinque anni, un bambino è ancora impegnato a imparare le basi del linguaggio e della socializzazione. Come può, dunque, un bimbo di quell’età comprendere e articolare concetti complessi come la disforia di genere? Come può essere sicuro di capire la sua identità in modo pienamente consapevole, quando è ancora così lontano dalla maturità cognitiva ed emotiva necessaria per riflettere su tali questioni?
Dietro il linguaggio apparentemente accogliente e inclusivo di questo laboratorio, molti vedono un tentativo pericoloso di indottrinamento, mascherato da sensibilità sociale. Non è un caso che le critiche siano arrivate da diversi fronti, dalle associazioni pro-famiglia fino ai palazzi del potere politico. Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera dei Deputati, non ha esitato a definire “inaccettabile” l’idea di coinvolgere bambini in età prescolare in discussioni così delicate, sottolineando il rischio di influenzare negativamente lo sviluppo naturale dei minori. Pro Vita&Famiglia ha lanciato una petizione nazionale per fermare questo che definiscono, giustamente, un “esperimento sociale” non richiesto.
Ma c’è un altro aspetto che rende questo caso ancora più allarmante. L’Università Roma Tre, un’istituzione che dovrebbe essere il baluardo della ricerca scientifica e della formazione accademica, ha avallato questo progetto. Si tratta di un evidente tradimento del mandato educativo, che dovrebbe garantire la neutralità accademica, invece di farsi portavoce di un’agenda che sfida apertamente la psicologia dello sviluppo infantile.
Come ha sottolineato il ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, la questione ora non è solo etica, ma anche legale: è giustificabile l’uso di fondi pubblici per finanziare un’iniziativa così controversa?
In tutto il mondo, sempre più esperti mettono in guardia contro i rischi della transizione precoce e delle pratiche di affermazione di genere nei minori. La Tavistock Clinic nel Regno Unito, un tempo considerata un centro all’avanguardia per il trattamento della disforia di genere nei giovani, è stata recentemente chiusa dopo rivelazioni inquietanti sull’eccessiva facilità con cui ai minori venivano prescritti trattamenti di transizione, con effetti devastanti sulla loro salute mentale e fisica.
La domanda cruciale resta: è davvero questo ciò di cui hanno bisogno i nostri bambini? In un’età in cui dovrebbero essere liberi di esplorare il mondo con curiosità, fantasia e spensieratezza, senza essere gravati da discorsi complessi sull’identità di genere, perché li stiamo trascinando in un dibattito che neanche gli adulti riescono a gestire con serenità? Oppure, questo laboratorio rappresenta un’ennesima tappa nella crescente politicizzazione dell’educazione e dell’identità? È possibile che un laboratorio come questo, sotto la patina di creatività e ascolto, non stia invece manipolando le menti di giovani impressionabili, spingendoli verso scelte non pienamente consapevoli? Questa non è inclusività, ma una forzatura che distorce la realtà, e sacrifica l’infanzia per una lotta ideologica che non appartiene ai bambini.
In molti ormai chiedono di fermare questa deriva pericolosa, restituendo ai bambini il diritto di vivere la loro infanzia senza interferenze ideologiche. Forse è arrivato il momento di chiederci se siamo davvero disposti a permettere che questi esperimenti sociali continuino, o se non sia il caso di difendere i nostri figli da un mondo che sembra aver dimenticato cosa significa proteggere la loro crescita naturale. I bambini non dovrebbero essere pedine in una guerra culturale: meritano di vivere la loro infanzia in pace, senza essere esposti a pressioni e influenze che non sono in grado di comprendere, tanto meno di scegliere consapevolmente.
si è voluto colpire non proteggere la fascia debole della popolazione.
Gli anziani che rappresentano la memoria storica e i bambini che
messi in queste condizioni non rappresenteranno un problema per
il futuro. .
E’ un programma di depopolamento. Particolarmente perverso, dai tratti spiccatamente satanici. Strano che venga portato avanti anche nel bel mezzo di un conflitto che può richiedere molta carne da cannone.
L’unica ipotesi sensata è che l’odio nei nostri confronti, da parte delle elite che ci opprimono, sia più forte della paura delle armate russa e cinese.