A distanza di anni dalla controversa morte di Jeffrey Epstein, il finanziere miliardario americano di origini ebraiche, già condannato per traffico di minori e al centro di un vasto scandalo sessuale internazionale, il caso torna prepotentemente al centro del dibattito pubblico, tra interrogativi irrisolti, promesse politiche mancate e la persistente sensazione che qualcosa sia stato deliberatamente nascosto.
Secondo quanto riportato da un’indagine recentemente conclusa dall’FBI e dal Dipartimento di Giustizia, non esisterebbe alcuna “lista dei clienti” compromettente, né sarebbero emerse prove concrete di un sistema organizzato di ricatti ai danni di politici, imprenditori o celebrità.
La versione ufficiale, rilanciata anche da un’inchiesta di Axios, riferirebbe di una “revisione scrupolosa” di materiale probatorio, incluse registrazioni audio-video, dispositivi elettronici e centinaia di documenti sequestrati nelle proprietà riconducibili a Epstein, secondo la quale, nulla indicherebbe l’esistenza di un archivio dettagliato dei frequentatori dell’isola privata o dei presunti beneficiari del traffico illecito orchestrato dal finanziere. La tanto discussa “black book”, di cui si era parlato nei mesi successivi alla sua morte, non sarebbe mai stata trovata, almeno secondo quanto dichiarato dalle autorità federali.
Sul fronte della causa di morte, il governo statunitense avrebbe confermato che Epstein si sarebbe tolto la vita nella sua cella del Metropolitan Correctional Center nel 2019, smentendo l’ipotesi – sostenuta da più voci – di un omicidio. Un video di sorveglianza, finora inedito, sarebbe stato diffuso per suffragare questa versione: le immagini mostrerebbero che nessuno avrebbe avuto accesso all’area di detenzione dove Epstein era recluso nelle ore cruciali della notte in cui fu trovato morto.
Tuttavia, le ombre non sembrano dissiparsi. Durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2024, Donald Trump aaveva promesso che, in caso di rielezione, avrebbe desegretato nuovi documenti legati a Epstein, inclusa la famigerata lista dei clienti.
A supporto di questa promessa, nel febbraio 2025, Pam Bondi, nominata Procuratrice Generale da Trump, aveva dichiarato pubblicamente che la lista si trovava sulla sua scrivania e che il Dipartimento di Giustizia era pronto a renderla pubblica a stretto giro.

“È proprio ora sulla mia scrivania per essere esaminata; è stata una direttiva del presidente Trump.” aveva affermato in un’intervista a Fox News
Eppure, una volta tornato alla Casa Bianca, il tono sarebbe cambiato radicalmente. Né Bondi né altri funzionari dell’amministrazione avrebbero più fatto menzione della lista, anzi, avrebbero sostenuto che tale lista non sarebbe mai esistita. Un’inversione di rotta che ha sollevato dubbi tra i commentatori politici, ma che non ha trovato spiegazioni ufficiali soddisfacenti. Nel frattempo, Donald Trump avrebbe continuato a prendere le distanze da Jeffrey Epstein, insistendo di non aver mai messo piede sulla sua isola privata.
L’intera vicenda si muove così in un equilibrio precario tra verità processuale e sospetti di insabbiamento, alimentati da anni di indiscrezioni e testimonianze. Alcuni osservatori sottolineano come la chiusura definitiva dell’indagine da parte delle autorità federali potrebbe rappresentare l’ennesimo tentativo di mettere il coperchio su una storia troppo esplosiva per essere gestita alla luce del sole, specie in un contesto geopolitico e mediatico già profondamente polarizzato.
Il mistero che circonda Jeffrey Epstein e la sua rete di relazioni resta tutt’altro che chiarito.
Nonostante le conclusioni ufficiali, il caso continua a essere avvolto da una fitta coltre di omissioni, contraddizioni e interrogativi senza risposta. La versione fornita dalle autorità non sembra essere sufficiente a convincere un’opinione pubblica sempre più diffidente, convinta che si stia nascondendo una verità troppo ingombrante per essere resa pubblica.
