In un mondo sempre più globalizzato, dove trattati commerciali e accordi internazionali sembrano tracciare il futuro delle nazioni, emerge una figura che, con fermezza, difende la sovranità e i valori culturali del proprio continente: Charles Kanjama, un rinomato avvocato keniota.
Durante la Seconda Conferenza interparlamentare africana sui valori della famiglia e la sovranità, tenutasi la scorsa settimana, Kanjama ha lanciato un appello accorato affinché le nazioni africane respingano un nuovo trattato proposto dall’Unione Europea. Un trattato che, dietro un’apparente spinta verso la democrazia e i diritti umani, cela la richiesta di accettare norme che molti paesi africani considerano contrarie alla loro cultura e tradizione, come i cosiddetti diritti all’aborto, LGBTQIA+ e l’educazione sessuale infantile.
Il prezzo nascosto del commercio con l’Europa
Kanjama non ha usato mezzi termini nel denunciare che questo trattato, inizialmente pensato per agevolare l’accesso dei beni europei nei mercati africani, ora include condizioni che nulla hanno a che vedere con il commercio.
L’accordo, pur offrendo promesse di sviluppo economico e sicurezza, nasconde tra le righe clausole su temi controversi come i diritti sessuali e riproduttivi.
«Le richieste dell’UE sono presentate con un linguaggio ambiguo e velato», ha spiegato Kanjama, «una tattica già vista durante il referendum costituzionale in Kenya nel 2010».
In altre parole, dietro espressioni apparentemente innocue si nasconde l’intenzione di imporre valori estranei alla cultura africana.
Un esempio lampante è la richiesta di prevenire la discriminazione sessuale e di genere, una dichiarazione apparentemente innocua, ma che, come spiega Kanjama, rimanda a definizioni di organismi internazionali come la CEDAW, in cui anche l’opposizione all’aborto viene etichettata come una forma di violenza di genere.
La resistenza africana
Non è la prima volta che l’Africa si trova a fronteggiare tentativi di imposizione culturale. Già lo scorso anno, la Dichiarazione di Entebbe aveva denunciato le pressioni occidentali per introdurre un’educazione sessuale esplicita e forzare un’agenda LGBT nelle scuole africane, un affronto ai valori tradizionali del continente. E oggi, con la voce di Kanjama, si ribadisce questa resistenza. Paesi come Nigeria e Namibia stanno infatti rivalutando la loro adesione al trattato, preoccupati che alcune delle sue disposizioni possano violare le leggi nazionali.
Tuttavia, la sfida non è priva di rischi. Come ricorda Kanjama, molti paesi africani temono che rifiutando il trattato si vedranno esclusi dal commercio con l’Europa, un rischio che alcuni hanno già deciso di correre firmando l’accordo. L’avvocato propone una soluzione: modificare il trattato o, come previsto dalla Convenzione di Vienna, accettarlo in via condizionata. Ma questo richiederebbe convincere i 27 Stati membri dell’UE, un’impresa tutt’altro che semplice.
Una lezione per tutti
La battaglia di Kanjama non è solo una questione africana. La sua resistenza e quella dei leader di paesi come Nigeria e Namibia offrono una lezione importante anche per noi in Europa. Ci invita a riflettere su chi sono i partiti e i movimenti che appoggiano l’attuale governance europea e le sue imposizioni culturali. E, soprattutto, ci invita a reagire. Se desideriamo un’Europa che rispetti la diversità culturale e la sovranità delle nazioni, dobbiamo prestare attenzione a chi votiamo e richiedere impegni chiari dai nostri rappresentanti.
Forse, un giorno, l’idea di accettazione condizionata avanzata da Kanjama troverà un’Europa disposta ad ascoltare e a rispettare le differenze, senza imporre condizioni che tradiscono i valori di interi continenti. Solo così potremo evitare che trattati commerciali si trasformino in strumenti di imposizione culturale.