Un recente studio pubblicato su Nanotoxicology ha rivelato la presenza di nanoparticelle fluorescenti in due delle bevande più consumate al mondo: Coca-Cola e Pepsi-Cola. Questa scoperta ha suscitato grande interesse e preoccupazione per le potenziali implicazioni sulla salute umana.
Lo studio condotto da Shen Li e colleghi ha identificato queste nanoparticelle con dimensioni di circa 5 nm, composte da idrogeno, carbonio e ossigeno. Le nanoparticelle mostrano emissione regolabile e un rendimento quantico del 3,3% per Coca-Cola e del 4,3% per Pepsi-Cola. L’analisi mediante spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR) ha confermato la presenza di atomi di carbonio ibridati sp3 in legami alcolici ed etere nelle nanoparticelle.
Particolarmente rilevanti sono stati i risultati riguardanti l’interazione delle nanoparticelle con i sistemi biologici. Gli esperimenti hanno dimostrato che queste nanoparticelle possono penetrare nelle cellule viventi, accumulandosi nelle membrane cellulari e nel citoplasma. Gli esami di tossicità acuta condotti su topi BALB/c, a cui è stata somministrata una singola dose equivalente a 2 g per kg di peso corporeo, non hanno mostrato effetti avversi evidenti sulla salute degli animali. L’analisi biochimica ha evidenziato differenze statisticamente significative, seppur non biologicamente rilevanti, in alcuni parametri rispetto ai gruppi di controllo.
Gli studi di biodistribuzione hanno inoltre evidenziato la propensione delle nanoparticelle ad accumularsi nel tratto digerente, con prove della loro capacità di attraversare la barriera emato-encefalica e disperdersi nel tessuto cerebrale.
La nostra ipotesi sul tipo di nanoparticella nella Coca-Cola e nella Pepsi-Cola
Sebbene l’origine specifica delle nanoparticelle non sia stata identificata nello studio, vi è la possibilità che siano Carbon Core Dot (C-CND), nanoparticelle a base di carbonio, conosciute per le loro proprietà fluorescenti e usate in diverse applicazioni tecnologiche e biomediche.
I “Carbon Core Dots” sono nanomateriali che possono contenere grafene o strutture grafeniche come parte della loro composizione. Il termine “grafene” si riferisce a un singolo strato di atomi di carbonio disposti in una struttura a reticolo esagonale, che conferisce al materiale proprietà uniche come elevata conduzione elettrica e termica, nonché resistenza meccanica.
Nei Carbon Core Dots, il grafene può essere presente come parte del nucleo amorfo di carbonio o come componente strutturale che contribuisce alle proprietà generali del materiale. Questa presenza può influenzare le prestazioni del materiale nelle diverse applicazioni, come bioimaging, sensori chimici e catalisi, fornendo caratteristiche specifiche di conduzione elettrica, stabilità e reattività superficiale.
I Carbon Core Dots sono nanomateriali costituiti da un nucleo di carbonio amorfo e una superficie arricchita di gruppi funzionali come ossigeno, azoto o altri elementi. Trovano applicazioni nel bioimaging, nei sensori chimici e biologici, nella teranostica (diagnostica e terapeutica) e come catalizzatori, specialmente nei settori della biomedicina e della sensoristica.
I Carbon Core Dot possono essere progettati per includere informazioni, marcatori o codici, che possono essere letti o rilevati tramite tecniche di imaging o tramite analisi più specifiche. Potrebbero essere utilizzate per scopi di tracciabilità o autenticazione. Inoltre, possono essere modificate con molecole o gruppi chimici specifici per conferire loro proprietà uniche, come l’abilità di interagire con substrati specifici o ambienti particolari.
Nell’ambito biomedico, possono essere progettate per consegnare farmaci o biomolecole specifiche ai tessuti bersaglio, utilizzando funzionalità incorporate per indirizzare e controllare la loro attività. Considerando che possono superare la barriera ematoencefalica possono essere progettate per trasportare farmaci direttamente al tessuto cerebrale.
Nel campo della tecnologia, le nanoparticelle fluorescenti potrebbero essere impiegate per creare dispositivi avanzati di neuroimaging e neurofeedback, migliorando il monitoraggio delle attività cerebrali e preparando il terreno per tecnologie di interfaccia uomo-macchina.
L’abilità delle nanoparticelle fluorescenti di attraversare la barriera ematoencefalica è una questione di enorme importanza e solleva diverse preoccupazioni per la salute umana. La barriera ematoencefalica svolge un ruolo critico nel proteggere il cervello da sostanze dannose presenti nel sangue, ma la sua permeabilità alle nanoparticelle introduce il rischio che sostanze estranee possano raggiungere direttamente il tessuto cerebrale con conseguenze gravi.
Effetti Neurotossici: Se le nanoparticelle provocano danni cellulari o alterano la funzione neuronale, potrebbero causare effetti neurotossici. Questo potrebbe manifestarsi in sintomi come disturbi cognitivi, cambiamenti comportamentali o disturbi neurologici.
Infiammazione Cerebrale: L’accumulo di nanoparticelle nel cervello potrebbe innescare una risposta infiammatoria, compromettendo la salute a lungo termine del cervello e potenzialmente aumentando il rischio di condizioni neurodegenerative.
Rischi Igienici e Sicurezza: Preoccupazioni riguardo alla sicurezza a lungo termine delle persone esposte a nanoparticelle nel cervello, specialmente se l’esposizione avviene ripetutamente o per periodi prolungati.
È urgente condurre ulteriori studi per comprendere pienamente gli effetti delle nanoparticelle sul cervello e per sviluppare regolamenti e linee guida che mitigano i rischi potenziali. L’approccio precauzionale è fondamentale quando si considerano applicazioni di nanoparticelle che possono interagire direttamente con il sistema nervoso centrale.