L’Optimum Climatico Romano, noto anche come il “Periodo Caldo Romano”, è un periodo di riscaldamento climatico verificatosi nell’area del Mediterraneo durante l’epoca romana, compreso approssimativamente tra il I secolo a.C. e il III secolo d.C.
Durante questo periodo, si ritiene che le temperature nella regione del Mediterraneo fossero più calde rispetto a quelle dei secoli precedenti e successivi. Questa fase di riscaldamento è stata collegata a cambiamenti nei cicli climatici naturali, come le variazioni delle orbite terrestri, le oscillazioni solari o altre dinamiche climatiche complesse.
Gli scritti di Teofrasto, uno dei discepoli di Aristotele, suggeriscono che il clima nel sud dell’Egeo nel IV e V secolo a.C. fosse relativamente mite, consentendo ad alcune piante tropicali, come le Palme da dattero, di crescere. Ciò è indicativo di un periodo di riscaldamento climatico.
Il termine “periodo caldo romano” ottenne notorietà grazie a un articolo scientifico apparso su Nature nel febbraio 1999. L’articolo, dal titolo “Holocene periodicity in North Atlantic climate and deep-ocean flow south of Iceland” contribuì a diffondere l’uso di questo termine.
In sintesi, lo studio ha rivelato che le fluttuazioni climatiche possono essere influenzate sia da variazioni del flusso solare che da oscillazioni interne del sistema climatico. Inoltre, è emerso che le masse d’acqua profonde, in particolare l’Iceland-Scotland Overflow Water (ISOW), hanno svolto un ruolo fondamentale nei cambiamenti climatici dell’Olocene.
L’Olocene è stato caratterizzato da cambiamenti climatici, ma in generale, è stato segnato da temperature relativamente stabili e da un clima più caldo rispetto alle ere glaciali. Durante questa epoca, la Terra ha sperimentato una significativa crescita delle foreste, l’espansione dei ghiacciai si è arrestata e la fauna e la flora si sono adattate alle nuove condizioni ambientali. L’inizio dell’Olocene è solitamente datato intorno a 11.700 anni fa, quando i ghiacciai dell’ultima era glaciale hanno cominciato a ritirarsi. Questa data è spesso utilizzata come punto di riferimento per definire l’inizio dell’attuale epoca geologica.
Ecco l’abstract dello studio:
Le fluttuazioni climatiche dell’ultimo millennio sono relativamente ben documentate. Su una scala temporale più lunga, ci sono prove crescenti di una variabilità su scala millenaria del clima dell’Olocene, con periodicità di 2.500 e 950 anni (forse causata da variazioni del flusso solare) e 1.500 anni (forse legata a un’oscillazione interna del sistema climatico).
Ma il coinvolgimento delle masse d’acqua profonde in questi cambiamenti climatici olocenici non è ancora stato stabilito.
In questa sede utilizziamo i dati granulometrici dei sedimenti del bacino dell’Islanda per ricostruire i cambiamenti passati nella velocità del flusso delle acque profonde. Il sito di studio è sotto l’influenza dell’Iceland-Scotland Overflow Water (ISOW), il cui flusso è una componente importante della circolazione “termoalina” che modula il clima europeo.
I cambiamenti di flusso coincidono con alcuni eventi climatici noti (la Piccola Era Glaciale e il Periodo Caldo Medioevale) e si estendono a tutta l’epoca dell’Olocene con una periodicità acquatica di 1.500 anni.I dati granulometrici indicano un flusso ISOW più rapido quando il clima dell’Europa settentrionale è più caldo. Tuttavia, una seconda modalità di funzionamento si osserva all’inizio dell’Olocene, quando gli intervalli di clima caldo sono associati a un flusso ISOW più lento. In quel periodo, il residuo di scioglimento dei ghiacci terrestri di età glaciale potrebbe aver fornito una fonte di acqua dolce sufficiente all’oceano per ridurre il flusso ISOW a sud dell’Islanda.
Anche le analisi dendrocronologiche del legno recuperato dal Partenone, un antico tempio greco situato sull’Acropoli di Atene, in Grecia, rivelano variazioni climatiche nel V secolo a.C. Queste indicano che durante quel periodo ci furono fluttuazioni significative nelle condizioni climatiche, con periodi caratterizzati da differenti situazioni climatiche. Queste scoperte hanno mostrato una notevole somiglianza tra le variazioni climatiche del V secolo a.C. e quelle attuali, suggerendo una certa continuità nei modelli climatici nel corso dei secoli.
Le prove dendrocronologiche si basano sull’analisi degli anelli di crescita degli alberi. Ogni anno, gli alberi formano un nuovo anello di crescita la cui larghezza varia in base alle condizioni ambientali, come temperatura, precipitazioni e umidità. Gli scienziati studiando i cerchi di crescita degli alberi antichi recuperati dal Partenone possono ricostruire le condizioni climatiche del passato.
L’importanza di queste scoperte è notevole poiché ci consentono di avere una migliore comprensione della dinamica storica del clima e di valutare l’impatto delle variazioni climatiche nel corso del tempo. Queste informazioni possono avere implicazioni significative per la nostra comprensione dei cambiamenti climatici attuali e delle loro cause e possono contribuire a sviluppare strategie per affrontare le sfide climatiche contemporanee.
https://www.nature.com/articles/17362