Sidney Powell è diventata una delle figure più discusse e riconoscibili del periodo successivo alle elezioni presidenziali statunitensi del 2020. Avvocato ed ex procuratrore federale, fu presentata da Rudy Giuliani come parte del team legale di Donald Trump impegnato a contestare i risultati elettorali.
Powell ha svolto un ruolo attivo e visibile nel tentativo di ribaltare l’esito elettorale. È stata tra le promotrici più accese della teoria — mai dimostrata — secondo cui le elezioni sarebbero state truccate, invocando presunti complotti internazionali, interferenze di società venezuelane, server all’estero e manipolazioni informatiche legate alle macchine per il voto della Dominion Voting Systems.
La sua promessa di “rilasciare il Kraken”, ovvero di presentare prove schiaccianti e clamorose di presunte frodi nelle elezioni presidenziali del 2020, ha avuto ampia risonanza mediatica, ma in realtà non è mai riuscita a fornire elementi concreti e attendibili a sostegno delle sue accuse.
Gli avvocati di Powell hanno sostenuto che le sue affermazioni, sebbene false, non dovessero essere considerate vere e proprie dichiarazioni di fatto, ma piuttosto opinioni o teorie legali. In tribunale gli avvocati hanno affermato che “nessuna persona ragionevole concluderebbe che le dichiarazioni fossero vere affermazioni basate sui fatti”. Questo è importante perché, secondo la legge statunitense, le opinioni sono protette dalla libertà di espressione, mentre le dichiarazioni false e dannose considerate fatti possono portare a cause per diffamazione. La difesa di Powell, quindi, ha cercato di sostenere che le sue parole rientrassero in questa seconda categoria, limitando così la sua responsabilità legale.
Le sue affermazioni hanno avuto forti ripercussioni: oltre al crollo della sua credibilità professionale, Powell è stata citata in giudizio per diffamazione dalla Dominion Voting Systems e successivamente incriminata penalmente nello Stato della Georgia per il suo presunto coinvolgimento in un’operazione finalizzata a interferire con lo svolgimento delle elezioni. Nel 2023 ha patteggiato, dichiarandosi colpevole di reati minori ed evitando così un processo per accuse più gravi.
La cronologia degli eventi
C’è un momento preciso in cui la retorica politica incontra la realtà giudiziaria, e per Sidney Powell quel momento è arrivato nell’ottobre 2023, in un’aula della contea di Fulton, in Georgia. L’ex avvocata del team legale di Donald Trump, nota al pubblico per aver promesso di “rilasciare il Kraken” — metafora di una verità esplosiva sull’elezione del 2020 — ha deciso di dichiararsi colpevole.
Una decisione che ha colto di sorpresa molti osservatori: Powell, uno dei volti più noti e determinati della campagna di disinformazione post-elettorale, ha scelto di patteggiare, evitando così un processo che avrebbe potuto comportarle molti anni di carcere e un ulteriore danno alla sua già compromessa reputazione.
Nel luglio 2023, un gran giurì della Georgia ha incriminato Powell insieme a Donald Trump e ad altri 17 coimputati. L’accusa? Un vasto piano cospirativo per sovvertire il risultato delle elezioni presidenziali del 2020, culminato in una serie di azioni coordinate tra legali, funzionari e sostenitori dell’allora presidente uscente.
La procura ha usato una delle leggi più severe a disposizione: il Georgia RICO Act, una normativa solitamente applicata per contrastare le organizzazioni mafiose, ma che nel caso specifico è stata impiegata per colpire quella che la procuratrice Fani Willis ha definito una “rete criminale” con l’obiettivo di interferire nelle elezioni democratiche.
Powell è accusata di aver partecipato attivamente a questo schema, in particolare per il suo ruolo nella violazione dei sistemi di voto della contea di Coffee, dove esperti informatici da lei incaricati hanno avuto accesso non autorizzato a dispositivi elettorali, alla ricerca di presunte prove di frode mai trovate.
Il 19 ottobre 2023, a sorpresa, Powell ha deciso di collaborare. Si è dichiarata colpevole di sei reati minori — interferenza intenzionale con i compiti elettorali — in cambio della cancellazione delle accuse più gravi, tra cui quella di violazione della legge RICO.
La pena? Sei anni di libertà vigilata, una multa e un risarcimento alle autorità elettorali della Georgia. Ma il punto più significativo è l’accordo a testimoniare in futuri processi contro gli altri coimputati, incluso Donald Trump.
Powell ha anche accettato di scrivere una lettera di scuse formale allo Stato della Georgia e ai suoi cittadini. Un gesto simbolico, ma indicativo del cambio di strategia.
Solo pochi anni prima, nel pieno del caos post-elettorale del 2020, Sidney Powell era diventata un simbolo della battaglia trumpiana contro l’esito del voto. Le sue teorie complottistiche, che includevano interventi di società venezuelane, server tedeschi e algoritmi truccati, avevano fatto il giro dei media conservatori e alimentato la sfiducia di milioni di elettori.
Quelle stesse affermazioni, però, le sono costate carriere, reputazione e cause civili da parte di società come Dominion Voting Systems, che l’ha citata per diffamazione.
Con Powell fuori dal processo principale e pronta a testimoniare, il caso contro Trump e gli altri imputati si complica. La procura potrà ora contare su una testimone interna al cerchio ristretto del presidente, con conoscenza diretta di riunioni, strategie e forse anche pressioni.
La sua testimonianza potrebbe rivelarsi determinante nei futuri procedimenti. Ed è per questo che la scelta di Powell segna un momento critico nel più ampio contenzioso giudiziario che coinvolge il presidente.
Il patteggiamento di Powell potrebbe essere solo il primo di una serie. La sua mossa potrebbe indurre altri coimputati, anche più vicini a Trump, a considerare la collaborazione con la giustizia. In fondo, quando il “Kraken” si arrende, anche i più leali iniziano a dubitare.
