Nel Medioevo, gli agiografi avevano il compito principale di rafforzare e nutrire la fede delle persone comuni, dei credenti più semplici e meno istruiti, e per raggiungere questo scopo, spesso ricorrevano alla fantasia per colmare le lacune, e a volte il vuoto, nella figura del “santo” che intendevano presentare.
Un esempio emblematico di questa pratica è la celebre “Legenda Aurea” di mons. Iacopo da Varazze (1228-1298), già Vescovo di Genova, che raccoglieva in un’opera voluminosa tutte le leggende conosciute su 182 “santi” antichi e contemporanei.
Sullo sfondo avventuroso e ricco di colori emergono personaggi che oscillano tra leggenda e favola, con trame fantastiche capaci di catturare l’immaginazione dei semplici.
La “Legenda,” compendio della fede e della storia della Chiesa, forniva un repertorio di storie e materiali iconografici che sarebbero diventati una fonte normativa e ispiratrice per molte generazioni di artisti, scultori, miniaturisti e storici dell’arte, contribuendo alla decorazione di vetrate, cattedrali e altri monumenti per diversi secoli.
La lettura di queste storie e l’ammirazione delle potenti immagini ad esse ispirate hanno contribuito a perpetuare la fama di numerosi pseudo-santi in tutto il mondo, mantenendo viva la tradizione agiografica ancora oggi nel mondo cattolico.
Un esempio significativo riguarda i fondatori dei “titoli delle Chiese di Roma,”. Questi fondatori, associati a specifici titoli o nomi, sono stati oggetto di revisioni nei Calendari liturgici, con conseguente esclusione dalla commemorazione generale a favore di una limitazione della celebrazione alle basiliche che portano i loro nomi.
Tra questi, Santa Prisca, insignita del titolo di una basilica romana, si unisce alla sorte di altri sette fondatori di basiliche noti come Santa Prassede, Sant’Eusebio, Santa Sabina, San Crisogono, Sant’Anastasia, Santa Pudenziana e Santa Cecilia. La loro commemorazione è stata esclusa dal focus liturgico generale, motivata dalla carenza di autentica santità, come evidenziato dagli studi basati su analisi storiche approfondite.
La radice delle prime chiese romane risiede nelle “domus christianae”, abitazioni private di cittadini romani benestanti, messe a disposizione per il culto cristiano. Il nome del proprietario diveniva il titolo della chiesa, al quale nel tempo si aggiungeva l’attributo di Santo o Santa. Tuttavia, la sacralità di questi fondatori non raggiungeva il prestigio attribuito ai martiri per la fede.
Un esempio emblematico è Santa Prisca, fondatrice di un “titolo” sull’Aventino, la cui figura storica rimane oscura. Sebbene venerata come la prima martire della Chiesa occidentale nella tradizione devozionale, questa narrativa manca di fondamenti documentari. Di conseguenza, la commemorazione di Santa Prisca è stata circoscritta alla basilica romana a lei intitolata, dove viene onorata come una generosa benefattrice anziché come una martire.
Allo stesso modo, alcune sante erano onorate come vergini principalmente per l’attrattiva delle “passioni di vergini,” rendendo la lettura più interessante. Le notizie “storiche” su moltissimi santi si limitano a un nome “dubbio,” a un’indicazione topografica “incerta” e a un giorno di festa “per tradizione non suffragata,” con l’anno e il periodo storico in cui hanno vissuto completamente sconosciuti.
Santi come San Giorgio, San Mauro, Santa Martina, Santa Domitilla, San Alessio, San Cristoforo, Santa Susanna, San Geminiano, Santa Giustina, Santa Tecla, Santa Orsola, Santa Caterina, Santa Barbara, Santa Bibiana, Santa Cecilia, Santa Cristina, San Venanzio, San Modesto, San Raimondo, San Sebastiano, San Siro, ecc., cadono sotto questa “scure” della storicità.
Altri santi, proposti senza il coraggio di depennarli, ricevono un ricordo “facoltativo” a causa della devozione popolare, permettendo la loro commemorazione in determinate Chiese locali. Alcuni famosi santi come Gennaro, Pantaleone, Secondo, Lucia, Rosalia, Agata, Efisio, di cui mancano dati certi, continuano a godere della devozione popolare per motivi “di ordine pubblico.”
Molte altre storie di santi, pur disponendo di tracce sulla loro presenza, sono il prodotto della fantasia degli agiografi interessati a valorizzare luoghi, chiese e casati.
Osservazioni tratte dal “Nuovo Calendario Liturgico” della Editrice Elle Di Ci – Torino-Leuman di A. Olivar, con imprimatur di Mons. V. Scarasso datato marzo 1974.
Durante il Concilio Vaticano II, nel periodo 1963-1965, la Congregazione dei Riti decise di eliminare San Gennaro dal calendario dei santi. Questa decisione fu confermata dalla riforma liturgica del 1969, che dichiarò insufficienti le testimonianze sulla reale esistenza di San Gennaro.
Questa mossa provocò una forte reazione di ribellione da parte del popolo napoletano. La popolazione costrinse la Congregazione a mantenere il culto del santo, anche se limitato al solo capoluogo partenopeo. La reazione dei napoletani fu caratterizzata dall’iconica ironia del popolo partenopeo, evidenziata da striscioni con la scritta “San Gennaro futtitenn”, che rifletteva l’umorismo tipico della comunità nel fronteggiare la decisione e nel ribadire la loro devozione al santo.
