Con l’arrivo imminente sul mercato di una nuova generazione di giocattoli dotati di intelligenza artificiale, anche la fascia d’età più giovane – quella della prima infanzia – è ormai coinvolta nella rivoluzione tecnologica. La psicologa clinica Marianne Brandon, esperta in sviluppo e comportamento umano, ha pubblicato un’analisi lucida e allarmata su Psychology Today, in cui esprime forti preoccupazioni per l’impatto che questi dispositivi avranno sullo sviluppo neurologico e sociale dei bambini.
Brandon sottolinea come l’infanzia sia stata, finora, una delle poche fasi della vita in parte preservate dall’invasività dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, questa “protezione” sta per cadere. L’annuncio da parte di aziende come Mattel di voler introdurre bambole e peluche capaci di dialogare, ricordare eventi e instaurare relazioni “personalizzate” con il bambino rappresenta una svolta.
Secondo Brandon, la portata del cambiamento è enorme, e ciò che inquieta è l’assenza di studi approfonditi sugli effetti a lungo termine. Stiamo, di fatto, conducendo un esperimento di massa sui bambini, senza saperne valutare le conseguenze:
“Non abbiamo quasi nessuna ricerca di lungo periodo su cosa faranno questi giocattoli all’intelligenza emotiva, alle abilità sociali o alla creatività di un’intera generazione”.
Gli studi già disponibili – scrive Brandon – mostrano che gli utenti abituali di assistenti basati su IA tendono a esercitare meno il pensiero critico e la risoluzione autonoma dei problemi, affidandosi invece alle risposte preconfezionate della macchina. Questo modello, applicato ai bambini, risulta ancora più preoccupante: in una fase in cui il cervello è altamente plastico, le abitudini di pensiero e relazione si consolidano precocemente.
“Il cervello dei bambini si sviluppa in base alle esperienze: più un bambino passa il tempo interagendo con un giocattolo che non gli pone sfide reali, meno sviluppa competenze come empatia, creatività, regolazione emotiva.”
Brandon non nega che l’interazione con tecnologie avanzate possa stimolare alcune abilità, come quelle visuo-spaziali o digitali. Tuttavia, ciò non basta a compensare ciò che viene perso:
“I bambini stanno passando sempre più tempo con schermi e giocattoli intelligenti, e sempre meno tempo a destreggiarsi nel mondo disordinato, creativo e talvolta difficile del gioco con i coetanei.”
Il gioco tra pari, secondo la psicologa, è insostituibile. È lì che si sviluppano capacità fondamentali come il negoziato, l’empatia, la gestione del conflitto e l’immaginazione libera.
Uno dei rischi più subdoli riguarda l’adattività eccessiva di questi nuovi giocattoli. Le IA, progettate per essere compiacenti, possono diventare interlocutori “perfetti”, sempre disponibili, sempre d’accordo. Questo può dare ai bambini una visione distorta delle relazioni:
“Una Barbie che ti ascolta, ti consola e non è mai in disaccordo con te non è un compagno, è un riflesso artificiale del tuo ego.”
Cosa possono fare i genitori?
Brandon non propone un rifiuto totale della tecnologia, ma invita a un uso critico ed equilibrato. Alcuni suggerimenti chiave:
- Non lasciare i bambini soli con i giocattoli intelligenti. L’interazione supervisionata permette di contestualizzare e mediare i contenuti.
- Favorire attività ludiche reali e condivise, con altri bambini o con adulti.
- Porre domande ai propri figli sull’esperienza con l’IA: “Cosa ti ha detto oggi la bambola?”, “Come ti sei sentito quando hai parlato con lei?”.
- Stimolare la curiosità, la narrazione e la creatività libera, anche con strumenti analogici.
L’intelligenza artificiale nei giochi per bambini è già realtà. Ma il suo impatto psicologico, emotivo e sociale è tutt’altro che neutro. Marianne Brandon avverte: non possiamo delegare lo sviluppo mentale dei nostri figli a delle macchine, senza domandarci a cosa stiamo rinunciando in cambio della comodità e del fascino tecnologico.
