La “sindrome di Maradona”, un termine che circola sottovoce, un’etichetta non ufficiale ma carica di significato. Non cercatela nei manuali di psicologia o nei trattati medici, perché non è lì che vive. Abita piuttosto nei discorsi popolari, nelle analisi di costume, e descrive un fenomeno tanto affascinante quanto inquietante: l’idolatria acritica verso un leader, un culto che ricorda l’amore incondizionato dei tifosi per il leggendario Diego Armando Maradona.
Il nome non è casuale. Tutto nasce da quel 22 giugno 1986, quarti di finale dei Mondiali in Messico. Diego Maradona, il “Pibe de Oro”, segnò un gol contro l’Inghilterra con un pugno che l’arbitro convalidò tra le proteste dei tifosi avversari e lo stupore degli stessi argentini. E’ stata “La mano de Dios”, dichiarerà al termine della partita Maradona, trasformando una scorrettezza in un mito.
La reazione avversaria è fiacca e dopo appena 4 minuti Maradona dribblò mezza squadra avversaria e firmò un gol che diventerà leggenda.
Genio e trasgressione in un unico uomo, venerato senza condizioni dai suoi tifosi. Da quell’episodio nasce la “sindrome di Maradona”, un’espressione che non troverete nei testi scientifici, ma che cattura un vizio antico dell’umanità: creare idoli e difenderli a ogni costo, che siano calciatori, politici, cantanti o persino vaccini.
Non è solo una storia di calcio. Maradona è il simbolo, il punto di partenza. I suoi tifosi lo hanno osannato nonostante i falli, il doping, gli eccessi, vedendo in lui un dio sceso in terra. Ma questo schema si ripete ovunque. Pensate a un leader politico che incanta le folle con promesse roboanti: i suoi seguaci lo giustificano anche quando inciampa in scandali o contraddizioni, perché è “il loro uomo”. O a una popstar che riempie stadi, idolatrata come un profeta moderno nonostante le cadute personali. Persino un vaccino, in tempi di pandemia, può diventare un totem sacro per alcuni o un capro espiatorio per altri. È la stessa danza: idealizziamo, chiudiamo gli occhi, riscriviamo la realtà per adattarla al nostro culto.
Da dove nasce questa tendenza? Gli psicologi la collegano a un bisogno profondo. “L’idolatria è una risposta all’incertezza”, spiega Marta Rossi, docente di psicologia sociale. “In un mondo complesso, cerchiamo figure o idee che ci diano sicurezza, che semplifichino il caos”. Un politico carismatico che promette di “aggiustare tutto” diventa un salvatore. Un cantante che parla al cuore diventa un confessore. Un vaccino, in un’epoca di paura, si trasforma in una panacea o in un nemico da combattere. “È una scorciatoia emotiva”, aggiunge Rossi. “Idealizzare ci risparmia il fatica di dubitare”.
Ma non è solo psicologia. Ci sono i media, abili architetti di miti. Prendete un leader politico: i suoi discorsi vengono amplificati, le sue virtù esaltate, i suoi errori nascosti sotto il tappeto. Pensate a figure come Donald Trump o Greta Thunberg: idolatrati da alcuni, demonizzati da altri, raramente giudicati con lucidità. Lo stesso vale per le star dello spettacolo. Un artista come Vasco Rossi o un fenomeno come Sfera Ebbasta non sono solo cantanti: sono simboli, culti globali che muovono milioni di fan pronti a difenderli da ogni critica. E poi c’è la scienza, che dovrebbe essere il regno della razionalità: durante il Covid, i vaccini sono diventati oggetto di adorazione cieca, “la salvezza dell’umanità”. senza lasciare spazio per il dialogo.
C’è una differenza sottile, ma cruciale, tra ammirare e idolatrare. L’ammirazione è sana: riconosce il talento di un calciatore, il coraggio di un leader, il valore di una scoperta scientifica, ma vede anche i limiti. L’idolatria, invece, è cieca. È quel tifoso che giustifica la “mano de Dios” di Maradona come un segno divino. È il cittadino che difende un politico corrotto perché “fa gli interessi del popolo”. È il fan che attacca chiunque osi criticare il suo idolo musicale, o il cittadino che tratta un vaccino come una reliquia intoccabile, ignorando dati o effetti collaterali.
Questo passaggio ha conseguenze. Quando l’adorazione diventa dogma, perdiamo la capacità di pensare. La realtà si piega al nostro bisogno di fede e gli idoli diventano intoccabili. Pensate ai concerti, dove migliaia di voci urlano per una star come se fosse un messia. O alle piazze politiche, dove un discorso infuocato cancella anni di promesse non mantenute. O ancora ai dibattiti online, dove chi osa mettere in dubbio un’icona che sia un vaccino o un influencer viene travolto da insulti. È la “sindrome di Maradona” in azione!
Vediamo ciò che vogliamo, difendiamo ciò che amiamo, anche quando i fatti ci gridano il contrario.
Quando l’adorazione diventa cieca e irrazionale, le persone perdono la capacità di valutare oggettivamente il comportamento e le azioni degli idoli, rimanendo intrappolate in un ciclo di venerazione che distorce la realtà.
La storia di Maradona è emblematica. È stato un calciatore straordinario, sì, ma anche profondamente vulnerabile, che ha subito cadute devastanti, senza mai riuscire a sfuggire ai propri demoni. I suoi tifosi lo hanno trasformato in un mito, ignorando la vastità dei suoi abissi interiori. E noi, oggi, facciamo lo stesso con i nostri idoli moderni.
Quando l’adorazione diventa cieca, perdiamo il contatto con la realtà. Un politico può essere un abile oratore, ma non un santo, spesso tradisce, e la sua sete di potere non è mai pura: si nutre di compromessi e di interessi nascosti, sempre pronto a sacrificare principi in nome della propria sopravvivenza. Una star può emozionarci, ma non è perfetta. Un vaccino non è magia, né un dogma ineluttabile che risolve tutto. Non è la soluzione definitiva che spesso viene raccontata. Eppure, continuiamo a elevare tutto su piedistalli, a costruirci dèi di carta che crollano al primo soffio di verità.
La “sindrome di Maradona” non è solo una curiosità: è uno specchio. Ci ricorda che l’idolatria è dentro di noi, pronta a scattare davanti a un gol, a un discorso, a una canzone, a una fiala. Sta a noi fermarci, guardare oltre il mito, perché, in fondo, la vera “mano de Dios” non esiste: siamo noi a crearla, ogni volta che scegliamo di non guardare. Gli idoli, li creiamo noi e siamo noi che dobbiamo imparare a riconoscere quando smettere di applaudire.

direi che oggi il mondo intero è pervaso da soggetti psicologicamente abbagliati dal potere. Si alleano a chi promette protezione eterna trascinando
nel baratro i cittadini che per loro disgrazia mantengono il senso critico
e sanno benissimo la tragedia che esiste dietro l’angolo.
Vedi guerra e passaporto nazionale…..