Negli ultimi venticinque anni, gli Stati Uniti hanno orchestrato una serie di strategie che, lungi dall’essere semplici mosse geopolitiche, possono essere interpretate come veri e propri tentativi di consolidare il proprio dominio globale, spesso a spese degli alleati e dei partner internazionali.
Uno degli esempi più lampanti di questa condotta è stata la cosiddetta “transizione verde”, una narrativa abilmente costruita per mascherare politiche che, in realtà, hanno costretto i paesi concorrenti, in particolare quelli europei, ad adottare misure di decarbonizzazione e sostenibilità energetica che si sono rivelate economicamente svantaggiose. Mentre gli Stati Uniti si presentavano come paladini dell’ambiente, in realtà stavano spingendo gli altri paesi a fare scelte che li avrebbero indeboliti economicamente, consolidando al contempo la propria posizione dominante.
L’Inflation Reduction Act (IRA) del 2022 è un caso emblematico di questa strategia. Presentato come un provvedimento per promuovere le energie rinnovabili, l’IRA è stato in realtà un atto profondamente protezionistico, concepito per favorire le imprese americane a discapito delle aziende europee. Gli incentivi fiscali previsti dalla legge erano infatti vincolati all’uso di materiali prodotti negli Stati Uniti o in paesi con accordi di libero scambio, escludendo di fatto molti fornitori europei. Questo ha creato una disparità economica che ha ulteriormente indebolito le imprese europee, già in difficoltà a competere con le controparti americane.
L’Unione Europea ha criticato l’IRA, definendolo una forma di “discriminazione commerciale” e temendo che possa portare a una delocalizzazione delle imprese europee verso gli Stati Uniti per beneficiare degli incentivi.
Parallelamente, gli Stati Uniti hanno cercato di influenzare le politiche energetiche europee in modo da ridurre la concorrenza nel settore. L’episodio più controverso in questo senso è stato il sabotaggio del gasdotto Nord Stream nel settembre 2022. Le esplosioni che hanno danneggiato tre delle quattro condotte dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 hanno avuto ripercussioni devastanti sulle relazioni energetiche europee, lasciando molti paesi in una situazione di vulnerabilità. Sebbene gli Stati Uniti neghino ogni coinvolgimento, numerosi analisti e fonti hanno avanzato l’ipotesi che siano stati proprio loro a orchestrarne la distruzione, con l’obiettivo di indebolire ulteriormente l’Europa e rafforzare la propria posizione nel mercato energetico globale.
Nonostante queste azioni aggressive, gli Stati Uniti sono riusciti a mantenere un’immagine di difensori della democrazia e di leader nella lotta contro il cambiamento climatico. Durante la guerra in Ucraina, si sono presentati come i principali sostenitori della libertà contro l’aggressione russa, guadagnandosi il sostegno di molti paesi. Allo stesso tempo, hanno continuato a promuovere pubblicamente la causa della sostenibilità ambientale. Tuttavia, le politiche interne, come quelle contenute nell’IRA, hanno rivelato una realtà ben diversa: quella di un paese disposto a sacrificare la cooperazione internazionale pur di perseguire i propri interessi economici e geopolitici.
In questo contesto, gli Stati Uniti hanno dimostrato una straordinaria capacità di manipolazione della narrativa globale, presentandosi come i “buoni” mentre perseguivano politiche che favorivano il proprio dominio a discapito degli altri. Nonostante le evidenti contraddizioni tra le dichiarazioni pubbliche e le azioni concrete, sono riusciti a mantenere un’immagine di coerenza e leadership, parlando di unità globale e di lotta contro sfide comuni. Tuttavia, queste contraddizioni sollevano seri interrogativi sulla reale volontà degli Stati Uniti di costruire rapporti basati su principi condivisi, piuttosto che su un’egemonia che serve principalmente i propri interessi.