L’Australia è diventato il primo paese al mondo a vietare l’accesso ai social media a tutti i minori di 16 anni. La legge, approvata a novembre 2024, impone a piattaforme come Facebook, Instagram, TikTok e Snapchat di adottare sistemi di verifica dell’età per evitare che i ragazzi di età inferiore ai 16 anni possano creare un account. Questa misura è stata introdotta per contrastare i rischi legati all’uso eccessivo dei social.
La legge ha suscitato opinioni contrastanti: se da un lato è vista come una risposta necessaria per proteggere i ragazzi, dall’altro alcuni esperti e genitori ritengono che un’educazione adeguata sull’uso consapevole dei social sarebbe una soluzione migliore, invece di un divieto totale.
Ad esempio, Susan Grantham, ricercatrice della Griffith University di Brisbane, sottolinea che è fondamentale educare i giovani a riflettere criticamente su ciò che vedono online e a sapere quando allontanarsi da contenuti problematici. Inoltre, alcuni ritengono che l’uso responsabile delle piattaforme social possa essere supportato con strumenti di educazione digitale, che aiutano i ragazzi a comprendere meglio le implicazioni psicologiche e sociali del loro comportamento online
Elon Musk ha espresso forti critiche contro la proposta di legge australiana che vieterebbe l’accesso ai social media ai minori di 16 anni. Secondo Musk, questa iniziativa rappresenta una “via di accesso secondaria” per il controllo di Internet in Australia, ponendo seri interrogativi sull’impatto che potrebbe avere sulla libertà online e sul rischio di un controllo eccessivo da parte del governo. Il magnate tecnologico ha sollevato preoccupazioni circa le implicazioni di tale legge, evidenziando come essa potrebbe portare a limitazioni della libertà digitale, oltre a suscitare dubbi riguardo alla protezione della privacy degli utenti.
Verifica per tutti gli utenti
Per verificare se un utente ha meno di 16 anni, l’Australia potrebbe adottare diversi sistemi di identificazione digitale. Tutti gli utenti potrebbero essere obbligati a fornire documenti d’identità ufficiali, come passaporti o patenti, da verificare attraverso database governativi per confermare la data di nascita. Un altro metodo potrebbe essere l’uso della biometria, come il riconoscimento facciale, per stimare l’età tramite algoritmi di intelligenza artificiale, magari confrontando le immagini con archivi ufficiali. In alcuni casi, potrebbe essere richiesto il consenso di un genitore o di un tutore legale, verificato mediante documenti o codici autorizzativi forniti da un’autorità centrale. Questi sistemi potrebbero essere integrati anche con dati già disponibili, come informazioni registrate presso istituzioni scolastiche o sanitarie, per accertare l’età dell’utente.
Sorveglianza totale
L’obbligo di fornire dati personali per accedere ai social media comprometterebbe la libertà online, trasformando ogni interazione in un’azione tracciata e archiviata, alimentando un sistema di controllo capillare. Non si tratta di fantasie, ma di un rischio reale: un sistema burocratico che sacrifica la privacy in nome della sicurezza.
La verifica obbligatoria dell’identità sarebbe il primo passo verso una rete dove la libertà digitale cede il posto a una sorveglianza onnipresente. Ogni attività online, dai post ai messaggi, potrebbe essere utilizzata per costruire un profilo dettagliato, sfruttabile da governi o aziende per scopi di controllo o manipolazione.
Le piattaforme social, da luoghi di espressione e creatività, si trasformerebbero in strumenti di monitoraggio. La raccolta di dati su larga scala potrebbe favorire la repressione politica, con dissidenti, giornalisti e attivisti identificati e messi a tacere. Parallelamente, il controllo sull’accesso ai contenuti potrebbe influenzare le opinioni pubbliche e indirizzare i comportamenti, spingendo verso una visione uniforme e controllata della realtà.
Questa non è un’ipotesi lontana, ma una prospettiva imminente nascosta dietro regolamentazioni apparentemente innocue. Un Internet libero e sicuro rischia di diventare un sistema in cui la sorveglianza elimina sia la privacy che l’autonomia personale.
Agire ora è fondamentale. Difendere il diritto all’anonimato e alla libertà di espressione è l’unico modo per preservare il controllo sulle nostre vite, digitali e non. Senza anonimato, il rischio è un mondo dominato dalla paura, dalla sorveglianza e dalla conformità forzata.
Un esempio pratico
Un esempio pratico di come la sorveglianza totale potrebbe essere utilizzata per scopi repressivi è il seguente: immagina un sistema in cui l’identità di ogni utente sui social media è obbligatoriamente verificata e collegata a database sanitari, finanziari o governativi. Se una persona esprime pubblicamente opinioni contrarie alla vaccinazione sui social (ad esempio, un no-vax), il sistema potrebbe associarla a queste dichiarazioni e contrassegnarla come “a rischio”.
Di conseguenza, un governo o un’istituzione sanitaria potrebbe, in teoria, prendere decisioni discriminatorie: negare l’accesso a determinate cure, limitare i diritti a partecipare a eventi pubblici o addirittura segnalare questa persona per ulteriori controlli. Tutto ciò sarebbe possibile senza che l’individuo ne sia pienamente consapevole, poiché le decisioni verrebbero giustificate da algoritmi o normative opache.
Questo scenario non riguarda solo le cure mediche. Potrebbe estendersi ad altri ambiti: limitazioni su mutui bancari, difficoltà nel trovare lavoro, o discriminazione in ambiti privati, come l’accesso a servizi. In un mondo di sorveglianza totale, ogni opinione o comportamento online può avere ripercussioni reali, creando un clima di paura e autocensura generalizzata.
Verifica dell’età
La verifica dell’età online, spesso indicata come “age assurance”, può avvenire tramite vari metodi tecnologici e processi. Ogni sistema ha dei problemi in termini di sicurezza, privacy e praticità. Ecco i principali metodi utilizzati per verificare l’età di un utente:
1. Autodichiarazione dell’età
Questo è il metodo più semplice e comune. Gli utenti inseriscono manualmente la loro data di nascita o dichiarano la loro età. Sebbene facile da implementare, questo sistema è altamente vulnerabile: gli utenti, in particolare i minori, possono facilmente mentire sulla loro età, accedendo a contenuti non adatti.
2. Verifica tramite documento d’identità
Un metodo più sicuro consiste nell’utilizzare documenti ufficiali (come la carta d’identità, la patente di guida o il passaporto) per confermare l’età dell’utente. Questo processo può avvenire in vari modi:
- Upload di una foto del documento: l’utente carica un’immagine del proprio documento di identità, che viene poi verificata dal sistema tramite tecnologie di riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) per estrarre i dati e verificarne l’autenticità.
- Verifica tramite terze parti: alcuni servizi esterni possono essere utilizzati per convalidare il documento di identità in tempo reale, riducendo il rischio di frodi.
Sebbene questo metodo sia più sicuro, comporta preoccupazioni per la privacy, poiché richiede la raccolta di informazioni sensibili come il numero di documento e la data di nascita.
3. Riconoscimento facciale
Alcuni sistemi usano il riconoscimento facciale per stimare l’età dell’utente, analizzando i tratti del viso. Questa tecnologia utilizza algoritmi di intelligenza artificiale per determinare l’età approssimativa di una persona in base alla morfologia del suo viso. Tuttavia, questo metodo ha sollevato preoccupazioni legate alla privacy e alla possibile discriminazione legata all’accuratezza delle tecnologie di riconoscimento facciale.
4. Verifica tramite metodi di pagamento
Alcuni servizi utilizzano metodi di pagamento (come carte di credito o debito) per verificare l’età, poiché i minorenni non possono ottenere legalmente carte di pagamento. Questo sistema può essere efficace, ma è limitato a coloro che hanno accesso a strumenti di pagamento adulti.
5. Verifica tramite account di terze parti
Alcuni servizi consentono di utilizzare account di piattaforme come Google, Facebook o altre reti sociali per verificare l’età. Questi account spesso contengono informazioni di età raccolte durante la registrazione. Tuttavia, il sistema dipende dalla veridicità delle informazioni fornite durante la registrazione su piattaforme di terze parti e potrebbe non essere sempre accurato.
6. Verifica tramite tecnologie biometriche
Oltre al riconoscimento facciale, esistono altre forme di biometria che possono essere utilizzate per stimare l’età. Ad esempio, alcune tecnologie analizzano il tono della voce o la scrittura a mano per determinare l’età dell’utente. Questi metodi sono ancora in fase di sviluppo e non sono ampiamente utilizzati, ma promettono di diventare strumenti efficaci in futuro.
7. Test comportamentali e analisi dei dati
Alcuni sistemi di age assurance combinano più segnali per determinare l’età dell’utente. Ad esempio, analizzano il comportamento online, la frequenza di determinati tipi di contenuti o la navigazione web. Questi metodi, tuttavia, non sono infallibili e possono portare a risultati errati o imprecisioni, specialmente se gli utenti non seguono modelli di comportamento tipici per la loro fascia di età.
8. Verifica tramite videochiamata
In alcuni casi, la verifica dell’età avviene tramite una videochiamata, dove l’utente è invitato a mostrare un documento di identità davanti alla telecamera. Questo metodo è usato in alcune piattaforme online, specialmente nei servizi che trattano transazioni finanziarie o contenuti ad alto rischio, come il gioco d’azzardo online.
Conclusione
Il divieto dei social media per i minori in Australia rappresenta un attacco diretto alle libertà civili e alla privacy dei cittadini, mascherato da una preoccupazione per il benessere dei giovani. Questa misura non è solo una semplice regolamentazione: è una manovra calcolata per giustificare un sistema di sorveglianza sempre più invasivo, dove il governo si arroga il diritto di monitorare e controllare le vite dei cittadini sotto il pretesto della protezione.
Non possiamo permettere che la paura giustifichi la creazione di un ambiente di controllo e repressione. Ogni passo verso la sorveglianza di massa è un passo verso la perdita della nostra libertà. La verità è che, dietro il velo della sicurezza, si nasconde un intento autoritario che mira a ridurre la nostra autonomia, la nostra vita privata e i nostri pensieri anche quelli più intimi.
Questa legge non è solo un problema che riguarda i minori; è un sintomo di una società che si sta cedendo lentamente la propria anima. Se non ci opponiamo a questa deriva, rischiamo di consegnare il futuro a un regime che considera la libertà un lusso, non un diritto. È tempo di alzare la voce e denunciare questa pericolosa tendenza: la nostra libertà non è negoziabile, e ogni tentativo di limitarla deve essere combattuto con determinazione. La storia ci ha mostrato che la libertà non si conquista una volta per tutte, ma va difesa ogni giorno. Non possiamo rimanere in silenzio mentre si erode il nostro diritto fondamentale a essere liberi.