La recente dichiarazione del Vicepresidente del Consiglio italiano, Matteo Salvini, secondo cui Benjamin Netanyahu non sarà arrestato se dovesse recarsi in Italia, ha suscitato un acceso dibattito politico e giuridico. La questione si pone in seguito al mandato di arresto internazionale emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI) nei confronti del Primo Ministro israeliano, accusato di gravissimi crimini che rientrano nella giurisdizione della Corte.
Obblighi dell’Italia verso la CPI
In qualità di Stato parte dello Statuto di Roma, l’Italia ha il dovere giuridico di collaborare pienamente con la CPI, compresa l’esecuzione di mandati di arresto emessi nei confronti di individui accusati di crimini internazionali. Ratificando il trattato nel 1999, l’Italia ha accettato:
- Di rispettare la giurisdizione della CPI, anche nei confronti di capi di Stato o di governo, poiché lo Statuto esclude le immunità per cariche pubbliche.
- Di eseguire i mandati di arresto: quando richiesto dalla Corte, l’Italia deve trasferire l’imputato alla giurisdizione della CPI, seguendo le procedure previste dall’ordinamento interno.
Le dichiarazioni di Salvini e le implicazioni giuridiche
La dichiarazione di Matteo Salvini, che ha escluso un possibile arresto di Netanyahu in Italia, appare in netto contrasto con gli obblighi internazionali del Paese. Salvini ha affermato che l’Italia non eseguirà un mandato contro Netanyahu, che consideriamo un alleato e un amico. Tuttavia, questa posizione potrebbe avere gravi conseguenze sia sul piano giuridico che diplomatico.
Gli obblighi non sono discrezionali
Lo Statuto di Roma impone agli Stati parte di cooperare con la CPI senza eccezioni, salvo:
- Questioni procedurali: Se il mandato presentasse irregolarità o fosse incompatibile con le norme italiane.
- Giurisdizione concorrente: Solo se l’Italia decidesse di perseguire gli stessi crimini attraverso il proprio sistema giudiziario.
Nessuna di queste condizioni è applicabile al caso di Netanyahu.
Rischio di violazione dello Statuto
Se l’Italia si rifiutasse di eseguire il mandato, sarebbe in violazione dell’Articolo 86 dello Statuto di Roma, che impone la cooperazione piena e incondizionata con la CPI. Questo potrebbe portare:
- A una segnalazione di mancata collaborazione all’Assemblea degli Stati Parte, con conseguenti pressioni diplomatiche.
- Al rischio di isolamento internazionale, con l’Italia che potrebbe essere percepita come uno Stato che non rispetta la giustizia internazionale.
Netanyahu e la questione dell’immunità
Un punto chiave riguarda l’immunità diplomatica di Netanyahu. Tuttavia, lo Statuto di Roma stabilisce che tali immunità non proteggono le cariche pubbliche dagli obblighi della Corte. Questo principio è stato ribadito in precedenti casi, come quelli che hanno coinvolto Omar al-Bashir, ex Presidente del Sudan.
Anche se Netanyahu è un capo di governo in carica, l’Italia non può utilizzare l’immunità come giustificazione per non eseguire il mandato, a meno che non decida apertamente di violare i suoi obblighi internazionali.
Le conseguenze di un rifiuto
La decisione di non arrestare Netanyahu, qualora dovesse recarsi in Italia, avrebbe ripercussioni importanti:
- Sul piano giuridico:
- L’Italia sarebbe accusata di mancata collaborazione con la CPI, indebolendo l’efficacia della giustizia penale internazionale.
- Sul piano politico e diplomatico:
- La credibilità dell’Italia come promotrice del diritto internazionale subirebbe un colpo significativo.
- Si creerebbe un precedente pericoloso, incoraggiando altri Stati a ignorare i propri obblighi.
- Sul piano interno:
- Si aprirebbe un conflitto tra il governo italiano e le istituzioni giudiziarie, che potrebbero contestare la legittimità di una decisione politica che viola un trattato internazionale ratificato dal Parlamento.
Nonostante le dichiarazioni di Salvini, l’Italia ha obblighi chiari e vincolanti nei confronti della Corte Penale Internazionale. Rifiutarsi di arrestare Netanyahu significherebbe non solo violare il diritto internazionale, ma anche mettere a rischio la reputazione e la credibilità del Paese. La giustizia internazionale non può essere subordinata a considerazioni politiche o alleanze strategiche, e l’Italia, come Stato parte dello Statuto di Roma, ha la responsabilità di dimostrarlo attraverso azioni coerenti.