La partecipazione dei militari italiani alla missione UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon) suscita interrogativi critici riguardo la reale natura e gli obiettivi di tale intervento. Istituita nel 1978, UNIFIL ha il compito dichiarato di monitorare il cessate il fuoco tra Libano e Israele e di impedire l’uso del territorio libanese da parte di gruppi armati, come Hezbollah, per attacchi contro Israele. Tuttavia, la presenza dei militari italiani all’interno di questa missione appare sempre più come una forma di occupazione mascherata da operazione di pace, mirante a proteggere gli interessi strategici di Israele.
Fin dal 2006, dopo il conflitto tra Israele e Hezbollah, il ruolo dell’Italia in UNIFIL è diventato sempre più significativo, con un consistente invio di truppe e mezzi. Tuttavia, dietro questa facciata di stabilità e sicurezza si cela un evidente squilibrio di potere. La missione, pur dichiarando di monitorare il cessate il fuoco, sembra in realtà svolgere un compito di contenimento di Hezbollah e di protezione dei confini israeliani. Questo porta a interrogarsi se la missione UNIFIL, con il contributo italiano, non stia contribuendo a legittimare una narrazione distorta, secondo cui il Libano deve essere vigilato mentre Israele mantiene una posizione aggressiva e offensiva.
La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che, mentre UNIFIL viene presentata come un’agenzia di pace, le forze israeliane hanno continuato a lanciare attacchi sul territorio libanese. Ciò evidenzia una contraddizione fondamentale: mentre le truppe italiane sono destinate a impedire gli attacchi contro Israele, il vero pericolo per il Libano proviene da aggressioni israeliane che restano impunite. Questa dinamica sembra configurarsi come un supporto tacito all’operato di Israele, mettendo in evidenza il ruolo dell’Italia come complice in un sistema che avvantaggia un solo lato del conflitto.
In questo contesto, la missione UNIFIL si trasforma in un’operazione di mantenimento di uno status quo instabile, piuttosto che in un vero e proprio intervento per la pace. I militari italiani, quindi, si trovano in una posizione ambigua: da un lato, sono presentati come portatori di pace; dall’altro, sono strumenti di un equilibrio di potere favorevole a Tel Aviv. Questa situazione solleva gravi preoccupazioni etiche e politiche, poiché l’operato italiano, invece di contribuire a una reale stabilità nella regione, potrebbe benissimo perpetuare una violenza sistematica e un’ingiustizia storica nei confronti del popolo libanese.