Nel turbolento scenario della politica internazionale, emergono, con angosciante chiarezza, le ombre più oscure della natura umana. Negli ultimi mesi, la scoperta di abusi brutali sui detenuti palestinesi da parte delle forze israeliane ha scosso il mondo, mettendo a nudo una verità che molti hanno cercato disperatamente di ignorare. Ma mentre la verità si fa strada attraverso il velo della propaganda e della disinformazione, una voce si leva potente, quella della commentatrice cattolica Candace Owens, che chiede giustizia e verità.
Owens, una figura che non teme di sfidare il pensiero dominante, ha lanciato un appello accorato ai suoi colleghi cristiani, implorandoli di condannare apertamente ciò che è ormai innegabile: la tortura, gli stupri e le sodomizzazioni inflitti ai prigionieri palestinesi da parte delle autorità israeliane. Un appello che risuona come un grido di disperazione in un mondo che sembra aver perso la bussola morale.
I fatti sono crudi e spietati. A fine luglio, la stampa israeliana ha riportato il caso di un detenuto palestinese ricoverato in ospedale con lesioni gravissime: perforazione intestinale, danni ai polmoni, costole fratturate e terribili ferite all’ano. Non si tratta di un caso isolato. Un’emittente israeliana ha rivelato che i torturatori hanno inserito un dispositivo telefonico nel retto della vittima, attivandolo per amplificare la sofferenza. Queste pratiche, che evocano i peggiori orrori della storia, non possono essere ignorate.
Nel suo podcast del 1° agosto, Owens ha denunciato la realtà di questi detenuti, persone che non hanno mai avuto un processo, che non sono state giudicate da un tribunale, ma che sono semplicemente state prelevate e trattenute per essere “interrogate”. Non ci sono accuse, non c’è giustizia, solo una brutalità che si nasconde dietro il paravento della sicurezza nazionale.
Eppure, mentre i dettagli di questi crimini emergono, il silenzio dei leader cristiani e dei politici occidentali è assordante. Owens non ha esitato a sfidare questo silenzio, mettendo in evidenza la codardia di coloro che preferiscono guardare altrove, troppo preoccupati per le loro carriere, per i loro titoli di giornale, per il loro status nel mondo. È un’accusa che taglia come un coltello, portando alla luce l’ipocrisia di una società che proclama di difendere i diritti umani, ma che chiude gli occhi di fronte alle sofferenze dei più deboli.
Owens ha citato casi specifici, come quello di un medico trattenuto a Gaza, spogliato, bendato e ammanettato, poi portato al centro di detenzione di Sde Teiman, dove è stato violentato con un bastone di metallo. Questa non è giustizia, è barbarie, ed è un’accusa contro tutta l’umanità.
Le Nazioni Unite, in un rapporto pubblicato a fine luglio, hanno rivelato che almeno 53 palestinesi sono morti in detenzione israeliana dal 7 ottobre, senza che siano state condotte indagini o presentate accuse. Questi detenuti sono stati sottoposti a torture inenarrabili: percosse, elettrocuzione, abusi sessuali. Eppure, il mondo resta in silenzio, paralizzato dalla paura di confrontarsi con la verità.
E in Israele, la reazione a queste rivelazioni è stata altrettanto sconvolgente. Nove soldati sono stati arrestati per il brutale stupro di un detenuto, ma invece di indignazione, si è scatenata una protesta da parte di gruppi di estrema destra, che hanno preso d’assalto il centro di detenzione e un tribunale militare, difendendo i torturatori e attaccando coloro che hanno osato denunciare questi crimini.
Anche nel parlamento israeliano, la Knesset, si è scatenato un dibattito infuocato. Hanoch Milwidsky, membro del partito Likud di Netanyahu, ha dichiarato senza esitazione che l’uso della violenza sessuale contro i presunti terroristi è “legittimo”. È una dichiarazione che fa rabbrividire, che solleva domande inquietanti su quale sia il vero volto di una nazione che si proclama democratica e civile.
John Mearsheimer, professore e autore di fama mondiale, ha definito questi atteggiamenti come un riflesso della società israeliana, dove il 47% degli intervistati ritiene accettabile che un israeliano stupri un “terrorista”. Mearsheimer ha collegato questa mentalità alla gestione dello stato di apartheid in Israele, dove i palestinesi sono visti come subumani, trattati come animali, e sottoposti a una brutalità sistematica e inarrestabile.
Il giornalista Max Blumenthal ha confermato che molti israeliani sostengono apertamente lo stupro dei prigionieri palestinesi nei campi di detenzione come quello di Sde Teiman, istituito dopo il 7 ottobre per detenere uomini rapiti da Gaza. Nonostante le accuse contro Hamas di aver aggredito sessualmente donne israeliane, non esistono prove a sostegno di queste affermazioni. Al contrario, le prove degli abusi commessi da Israele contro i detenuti palestinesi sono schiaccianti e inconfutabili.
Owens ha quindi rivolto un appello disperato ai suoi colleghi cristiani, citando il caso del podcaster ebreo sionista Shaiel Ben-Ephraim, che ha ammesso di essere stato ingannato per tutta la vita dalle autorità e dai media israeliani. Ben-Ephraim ha denunciato le menzogne che gli sono state raccontate, rivelando che la verità è emersa solo grazie alle pressioni internazionali, e non per un improvviso risveglio morale delle autorità israeliane.
Owens ha concluso il suo intervento con un appello accorato: “Essere veri cristiani” significa difendere la dignità umana, indipendentemente dalla religione, dalla razza o dall’etnia. Ha espresso la sua frustrazione per il fatto che molti cristiani evitano di condannare apertamente le atrocità commesse da Israele, mettendo in dubbio la sincerità della loro fede. Secondo Owens, il vero cristianesimo non può tollerare il male, anche quando questo è mascherato da sicurezza nazionale o da interessi politici.
Questo è il richiamo alla coscienza che Candace Owens ha lanciato al mondo, un richiamo che non può essere ignorato. Perché il silenzio, in questi casi, non è neutrale. Il silenzio è complice. E la storia non sarà clemente con coloro che hanno scelto di tacere di fronte all’orrore.