Negli ultimi anni, i dati ufficiali sull’occupazione in Italia mostrano un quadro apparentemente positivo: il tasso di disoccupazione è in calo e il numero degli occupati raggiunge livelli storici. Tuttavia, un’analisi più attenta delle statistiche evidenzia un fenomeno che rischia di ingannare lettori e decisori politici: la “scomparsa” dei disoccupati per effetto della riclassificazione tra inattivi.
Il tasso di disoccupazione si calcola considerando solo la forza lavoro, ovvero le persone occupate e quelle che stanno attivamente cercando un impiego. Chi invece ha smesso di cercare lavoro viene classificato come inattivo e non figura più tra i disoccupati anche se disoccupato. È un meccanismo che, seppur corretto dal punto di vista statistico, può generare un’impressione distorta della realtà occupazionale.
In pratica, una persona che perde il lavoro ma decide di non cercarne più uno non viene conteggiata come disoccupata, facendo così diminuire artificialmente il tasso di disoccupazione.
Come si determina se una persona è inattiva?
Attraverso questionari standardizzati somministrati ai cittadini (ad esempio nell’indagine sulle Forze di Lavoro), si pongono domande precise come:
- Hai lavorato almeno un’ora nella settimana di riferimento?
- Hai fatto qualcosa per cercare lavoro nelle ultime 4 settimane?
- Sei disponibile a lavorare se ti venisse offerta una posizione?
Se una persona non ha lavorato e non ha cercato attivamente lavoro nelle settimane precedenti e non è disponibile a lavorare immediatamente, viene classificata come inattiva.
Il limite delle “4 settimane” nella definizione di disoccupato
Secondo la definizione ufficiale (ILO e ISTAT), per essere classificato come disoccupato una persona deve:
- Non avere un lavoro,
- Aver cercato attivamente lavoro nelle ultime 4 settimane,
- Essere disponibile a lavorare entro le prossime 2 settimane.
Se invece una persona intende cercare lavoro ma solo dopo più di 4 settimane, oppure non è immediatamente disponibile, viene classificata come inattiva.
Il rischio di una lettura superficiale dei dati
Questo fenomeno è bene rappresentato da un esempio numerico: su 100 persone in età lavorativa, 60 sono occupate, 10 disoccupate e 30 inattive. Il tasso di disoccupazione, calcolato come rapporto tra disoccupati e forza lavoro, è del 14,3%. Se cinque disoccupati smettono di cercare lavoro, diventando inattivi, il tasso scende a 7,7% senza però che nessuno abbia effettivamente trovato un impiego.
In Italia, questa dinamica è alimentata anche dalla crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro e dalla riduzione graduale degli inattivi, due fenomeni strutturali che contribuiscono all’aumento dell’occupazione ma che devono essere analizzati con attenzione per evitare letture superficiali.
Cosa dicono i numeri
Nel 2024, il tasso di occupazione in Italia ha raggiunto il 62,2%, mentre il tasso di disoccupazione si attesta al 4,4% (6,6% se si considera il tasso ufficiale). Parallelamente, la quota di inattivi resta alta, intorno al 33,4%. Questi dati suggeriscono che l’aumento dell’occupazione è in parte dovuto alla riduzione degli inattivi, ovvero di persone che in passato non cercavano lavoro ma ora si sono integrate nel mercato.
In particolare, l’occupazione femminile è cresciuta dal 45,4% nel 2004 al 53,3% nel 2024, mentre quella maschile è rimasta quasi stabile.
La necessità di un’interpretazione completa
Per comprendere davvero lo stato del mercato del lavoro è dunque indispensabile guardare congiuntamente a più indicatori: non solo il tasso di occupazione e disoccupazione, ma anche il tasso di inattività. Solo così si può evitare di cadere nella trappola di un’interpretazione fuorviante.
Il dato sull’occupazione non deve essere interpretato come una semplice fotografia, ma come il risultato di processi complessi che coinvolgono scelte individuali, condizioni economiche e metodologie di classificazione.
La discesa del tasso di disoccupazione e l’aumento degli occupati sono segnali positivi, ma non bastano da soli a raccontare l’intera realtà. Il “trucco” statistico che sposta i disoccupati tra gli inattivi può dare l’illusione di un miglioramento più netto di quello effettivamente avvenuto. Solo un’analisi completa e critica dei dati può restituire un quadro attendibile del mercato del lavoro italiano.

le statistiche sono spesso delle prese in giro visto che in Italia le paghe sono
da fame. Propongono 800 /1000 euro al mese, la chiamiamo occupazione questa? sopravvivenza estrema semmai