Donald Trump, piegandosi alle pressioni di Israele, starebbe seriamente valutando l’ipotesi di un intervento militare contro l’Iran, nonostante durante la sua campagna elettorale avesse promesso di evitare nuovi conflitti. Una clamorosa inversione a U, che dimostra ancora una volta la sua incoerenza e la subordinazione agli interessi di Netanyahu.
Su Truth ha già chiesto una “resa incondizionata” della Repubblica Islamica, dopo aver invitato tutti ad evacuare Teheran e avvisato che “ora abbiamo il controllo completo e totale dei cieli sopra l’Iran” grazie alla superiorità tecnologica militare Usa. Poi minaccia anche Ali Khamenei: “sappiamo esattamente dove si nasconde il cosiddetto ‘Leader Supremo’. È un bersaglio facile, ma lì è al sicuro. Non lo elimineremo, almeno non per ora. Ma non vogliamo che i missili vengano lanciati contro i civili o i soldati americani. La nostra pazienza sta per esaurirsi”.
Tra le opzioni sul tavolo, spicca un attacco all’impianto nucleare sotterraneo di Fordow, che potrebbe essere distrutto con la bomba GBU-57 “bunker buster”, un’arma di potenza devastante. Una mossa che, oltre a essere illegale senza l’approvazione del Congresso, rischierebbe di far saltare definitivamente ogni possibilità di accordo sul nucleare, spingendo l’Iran a una reazione imprevedibile.
Il Congresso e il Pentagono divisi, ma Trump sembra intenzionato a procedere
Nonostante le forti preoccupazioni del Congresso – che ha presentato una risoluzione per bloccare operazioni non autorizzate contro l’Iran – e le divisioni interne al Pentagono, dove molti ritengono che un nuovo coinvolgimento in Medio Oriente distolga risorse cruciali dal contrasto alla Cina, Trump sembra determinato a proseguire sulla strada della provocazione.
Alcuni funzionari israeliani, dal canto loro, sostengono che un attacco a Fordow potrebbe essere imminente, alimentando un clima da guerra preventiva che ricorda tragicamente le menzogne sulle “armi di distruzione di massa” irachene.
La comunità internazionale invoca la diplomazia, ma Trump preferisce le bombe
A livello globale, si moltiplicano gli appelli alla de-escalation. Emmanuel Macron ha esortato a tornare al tavolo negoziale, mentre Friedrich Merz (CDU) ha osservato che Israele da solo non può annientare il programma nucleare iraniano, lasciando intendere che un intervento militare su larga scala potrebbe essere l’unica alternativa.
Ma è proprio questa la strada giusta? Trump, che pure afferma di “non escludere la diplomazia”, sembra invece predisposto all’opzione militare, rischiando di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto catastrofico, con ripercussioni globali.
Ma perché Trump potrebbe cedere facilmente a Israele?
La risposta è semplice: Israele esercita un’influenza sproporzionata sulla politica americana, grazie a un mix di pressioni lobbistiche (attraverso gruppi come AIPAC), ricatto elettorale (minacciando di mobilitare l’elettorato ebraico e evangelico contro di lui), e ricatto strategico. Se gli USA non agissero, Netanyahu potrebbe lanciare un attacco unilaterale, trascinando comunque Washington nel conflitto.
Inoltre, Israele controlla informazioni sensibili sul programma nucleare iraniano e può manipolare le valutazioni di intelligence per spingere verso la guerra, esattamente come fece con le false prove sulle armi di distruzione di massa di Saddam.
Se davvero si procederà con un attacco, non solo si tradiranno le promesse di non belligeranza, ma si rischierà di innescare una spirale di violenza senza ritorno. La storia, purtroppo, insegna che le guerre preventive spesso si rivelano disastri annunciati. E questa volta, le conseguenze potrebbero essere ancora più gravi.
Difficile dirlo. Ma una cosa è chiara: se anche solo il 10% di queste minacce si concretizzasse, gli USA si ritroverebbero in un pantano peggiore dell’Iraq e dell’Afghanistan messi insieme. E stavolta, la Cina e la Russia potrebbero non restare a guardare.
