Albert Einstein, l’icona della fisica del XX secolo, negli anni ’30 si scontrò con la meccanica quantistica, e la sua reazione non fu altro che un rifiuto netto e deciso “Dio non gioca a dadi” aveva esclamato Albert Einstein a riguardo. La visione probabilistica della realtà proposta dalla meccanica quantistica non trovò accoglienza nel mondo di Einstein, che la bollò come un’eresia scientifica, contraria all’ordine e alla precisione che credeva fossero i pilastri su cui si reggeva l’Universo.
Eppure, la storia ha dimostrato che Einstein sbagliava. L’Universo, al livello microscopico, non è così lineare e prevedibile come il suo cervello avrebbe voluto credere. E invece Einstein aveva torto, Dio gioca a dadi e l’aleatorietà, quella stessa che lui negava, è diventata la norma nella fisica quantistica e ha dato vita a tecnologie come i computer e i telefoni, che funzionano proprio grazie ai principi che egli rifiutava.
Ma le scivolate di Einstein non finirono qui. La sua testardaggine nel voler un Universo statico e immutabile lo portò a introdurre la famigerata “costante cosmologica” nelle sue equazioni, un tentativo maldestro di tenere a bada l’espansione dell’Universo. Tuttavia, la realtà si dimostrò implacabile. L’Universo non solo si espandeva, ma lo faceva a un ritmo accelerato, rendendo la costante cosmologica di Einstein una sorta di palliativo teorico, piuttosto che una soluzione.
Ancora più sbagliato si dimostrò quando rigettò l’idea dei buchi neri e delle onde gravitazionali. Questi fenomeni, che lui considerava solo esercizi matematici astratti, sono diventati pilastri della moderna cosmologia, dimostrando che la realtà può superare anche le più ardite intuizioni teoriche.
Così, quando i media gridarono “Einstein aveva ragione” alla scoperta delle onde gravitazionali, non facevano altro che celebrare un mito che si era rivelato, ancora una volta, limitato dalla sua stessa testardaggine e mancanza di visione. Non era Einstein ad avere ragione; era la realtà a dimostrare che anche i giganti possono inciampare nei loro stessi pregiudizi.