Il network di SpaceX ha aiutato Kiev dal punto di vista civile e militare.
«Tali azioni costituiscono un coinvolgimento indiretto nei conflitti», sostengono da Mosca
Le infrastrutture «semi civili» potrebbero diventare un obiettivo legittimo per le rappresaglie, ha affermato nei giorni scorsi Konstantin Vorontsov, capo della delegazione russa all’Ufficio per gli affari del disarmo delle Nazioni Uniti.
Sebbene non vengano nominati apertamente, le sue parole sono risuonate come una minaccia diretta ai satelliti Starlink forniti da Elon Musk e dalla sua società SpaceX, diventati essenziali per le comunicazioni ucraine nella parte orientale del Paese.
«Vorremmo sottolineare una tendenza estremamente pericolosa che va oltre l’uso innocuo delle tecnologie spaziali ed è emersa durante gli eventi in Ucraina: l’uso da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati di infrastrutture civili nello spazio, comprese quelle commerciali, per scopi militari», ha sostenuto il capodelegazione russo Vorontsov. «Sembra che i nostri colleghi non si rendano conto che tali azioni costituiscono un coinvolgimento indiretto nei conflitti militari».
All’inizio del conflitto, quando l’Armata aveva scollegato l’Ucraina dalla rete internet con degli strike mirati, solo i satelliti inviati dall’uomo più ricco del mondo avevano permesso di ripristinare una connessione stabile per scopi civili, ma anche militari.
Il network di SpaceX viene ora utilizzato per permettere ai cittadini di parlare con i propri cari, per diffondere i discorsi quotidiani del presidente Volodymyr Zelensky, ma anche per assistere i bombardamenti dei droni contro le posizioni russe. Già a maggio Musk era stato accusato dal capo dell’Agenzia spaziale russa di «sostenere le forze fasciste in Ucraina con le comunicazioni militari».
Poco dopo, lo stesso Musk aveva denunciato un cyber attacco contro il sistema, una «costellazione» di satelliti che fluttuano a bassa quota nei cieli ucraini, a circa 200 chilometri d’altezza, e permettono di navigare ad alta velocità: proprio il funzionamento «in gruppo» rende inoltre difficile neutralizzarli, perché i russi dovrebbero colpirli tutti per far saltare la connessione. «Abbiamo oltre 11 mila stazioni e ci aiutano nella nostra battaglia quotidiana, su tutti i fronti», aveva quantificato a giugno il vicepremier ucraino Mykhailo Fedorov, il ministro del digitale che due giorni dopo l’invasione aveva sollecitato l’invio dei satelliti con un tweet diretto proprio a Musk, il quale aveva provveduto immediatamente con l’aiuto di finanziamenti privati e governativi.
I droni
L’utilizzo di droni d’attacco iraniani da parte degli invasori è fatto noto. Solo che adesso Kiev fa «pubblicità» al nemico rivelando che questi velivoli ribattezzati Geranium 2 (in realtà sono gli Shahed 136) hanno distrutto 4 sistemi d’artiglieria pesante e un blindato nella regione di Kharkiv. Dunque target preziosi. I mezzi forniti da Teheran sono temuti in quanto la resistenza non ha uno scudo sufficiente per contrastarli. Infatti gli ucraini, oltre a dare i particolari sui raid, hanno subito chiesto all’Occidente apparati in grado di abbatterli, equipaggiamenti in aggiunta a quelli garantiti nelle ultime settimane. Secondo l’intelligence americana gli ayatollah avrebbero messo a disposizione degli occupanti alcune centinaia di questi velivoli. È stato escluso dalle fonti Usa, invece, un supporto bellico diretto da parte della Cina.
Pragmatismo
Il pragmatismo domina i vertici del Pentagono. Visitando le truppe statunitensi presenti in Polonia, il capo di Stato Maggiore Mark Milley ha invitato a stare sempre in guardia:
«In un conflitto non hai mai un’assoluta certezza su quello che verrà dopo».
I richiami, diventati quasi una cantilena, sono in parallelo a valanghe di analisi che «inchiodano» le truppe di Putin: i suoi generali faticano a mettere insieme nuovi reparti, il Terzo Corpo appena formato non ha permesso di cambiare il quadro, si ipotizza la nascita di un Quarto ma con elementi che non darebbero garanzie, gli ucraini avrebbero preso possesso del fiume Oskil, nel nordest, segnando un altro punto importante nella controffensiva.