Prima dell’introduzione delle vaccinazioni contro il morbillo, il concetto stesso di neonati malati di morbillo praticamente non esisteva. Questo perché, in un contesto in cui il virus circolava liberamente, i bambini venivano contagiati molto presto, spesso in età prescolare, sviluppando un’immunità naturale che li proteggeva per tutta la vita. I neonati, grazie agli anticorpi materni trasmessi durante la gravidanza e l’allattamento, erano in gran parte protetti nei primi mesi di vita, quando erano più vulnerabili.
Con l’arrivo delle campagne vaccinali, la circolazione del virus si è ridotta drasticamente, ma non senza conseguenze. La riduzione dell’immunità di gruppo naturale ha fatto sì che i neonati, privati della protezione passiva derivante dall’esposizione materna al virus, siano diventati più esposti e vulnerabili. Il risultato paradossale è che, proprio grazie alla vaccinazione, oggi assistiamo a casi di morbillo in neonati, una fascia d’età che prima non era praticamente colpita.
Questo fenomeno evidenzia un problema più ampio: l’intervento sulla natura dei virus e sulla loro circolazione non è mai neutrale e non sempre produce effetti lineari o completamente prevedibili. La vaccinazione è stata presentata come la soluzione definitiva, ma in realtà ha cambiato la dinamica della malattia in modi che richiedono una riflessione più approfondita. Ignorare queste conseguenze significa rischiare di nascondere i problemi reali dietro una narrazione semplificata e rassicurante.
In conclusione, è essenziale smettere di guardare al morbillo solo attraverso la lente della vaccinazione obbligatoria e iniziare a interrogarsi su come queste politiche influenzino davvero la salute dei più piccoli. Solo con un’analisi onesta e completa potremo trovare soluzioni che proteggano davvero tutti, senza effetti collaterali imprevisti.