Donald Trump a proposto di portare la spesa militare dei paesi NATO dal 2% al 5% del PIL, accendendo un dibattito internazionale e sollevando domande sulle sue reali motivazioni e sulle conseguenze economiche, sociali e strategiche che un tale obiettivo comporterebbe.
Se da un lato l’idea sembra allinearsi con la retorica della “pace attraverso la forza”, dall’altro appare come una mossa politica ambigua, priva di una solida giustificazione strategica e potenzialmente dannosa per i paesi membri dell’Alleanza, Italia inclusa.
Negli ultimi anni, la spesa militare globale ha raggiunto livelli record, con un totale di 2.443 miliardi di dollari nel 2023, secondo i dati del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute). Gli Stati Uniti, da soli, hanno contribuito con 916 miliardi di dollari, consolidando il loro ruolo di principale potenza militare mondiale. Anche l’Europa, spinta dalla guerra in Ucraina e dalle pressioni della NATO, ha aumentato i propri budget militari. L’Italia, ad esempio, ha incrementato la spesa del 7% nel 2024, portandola a oltre 30 miliardi di euro, pari all’1,5% del PIL.
Tuttavia, nonostante questa impennata, la sicurezza globale non sembra migliorare. Conflitti come quelli in Ucraina, Israele e Sudan dimostrano che la corsa al riarmo non si traduce automaticamente in stabilità. Al contrario, rischia di alimentare una spirale di tensioni internazionali, in cui ogni aumento di spesa da parte di un paese spinge gli altri a fare altrettanto, in una logica di escalation senza fine.
Donald Trump, parlando dalla sua residenza di Mar-a-Lago, ha lanciato l’idea di portare la spesa militare dei paesi NATO al 5% del PIL, definendola un obiettivo “alla portata di tutti”. Tuttavia, questa proposta sembra più un’operazione politica che una strategia ben ponderata. Come sottolineato da Francesco Vignarca, analista dell’Osservatorio Mil€x, il 5% non deriva da una valutazione delle reali esigenze militari, ma appare come un numero arbitrario, “sparato” nel dibattito internazionale per alimentare una narrativa di potenza e sicurezza.
Dietro questa proposta, si intravedono anche gli interessi dell’industria bellica statunitense. Durante il suo primo mandato, Trump aveva già spinto i paesi NATO a raggiungere il 2% del PIL in spesa militare, un obiettivo che molti stati europei hanno faticato a raggiungere. Ora, alzando l’asticella al 5%, il tycoon sembra voler favorire ulteriormente le aziende produttrici di armi, che beneficerebbero di contratti miliardari per la fornitura di nuovi sistemi d’arma.
Le conseguenze per l’Italia: un costo insostenibile
Per l’Italia, raggiungere il 5% del PIL in spesa militare significherebbe triplicare gli stanziamenti attuali, passando da 30 a oltre 100 miliardi di euro. Una cifra astronomica, che avrebbe ripercussioni profonde sull’economia e sulla società italiana. Già oggi, il 40% del budget della Difesa (circa 13 miliardi di euro) è destinato all’acquisto di armamenti, come cacciabombardieri, sommergibili e navi. Per spendere 100 miliardi, l’Italia dovrebbe destinare altri 80 miliardi solo a questo capitolo, una prospettiva che Vignarca definisce “una follia”, considerando che le forze armate italiane non hanno bisogno di un tale volume di armamenti.
Inoltre, un aumento così massiccio della spesa militare comporterebbe inevitabili tagli ad altri settori cruciali, come sanità, istruzione e welfare. In un momento in cui il paese affronta sfide economiche e sociali significative, destinare risorse così ingenti alla difesa appare come una scelta miope e controproducente.
Uno degli aspetti più critici della proposta di Trump è la mancanza di una visione strategica chiara. Aumentare la spesa militare senza un piano ben definito su come utilizzare queste risorse rischia di creare sprechi e inefficienze. Come sottolinea Vignarca, l’unico modo per raggiungere il 5% in tempi brevi sarebbe acquistare grandi quantità di armamenti, un approccio che non tiene conto delle reali esigenze delle forze armate italiane. Al contrario, investimenti in personale, formazione e infrastrutture richiederebbero tempi più lunghi e una pianificazione accurata, ma sarebbero probabilmente più efficaci nel migliorare la capacità difensiva del paese.
una spesa alla portata di tutti? parla chi ha un aereo privato con i rubinetti
d’oro, chi è uscito vincitore grazie agli aiuti di Israele e Musk….
noi poveracci invece ci sveniamo in tasse per pagare armi in una
guerra che secondo la Costituzione non sarebbe neanche nostra.
E chi ci dovrebbe sostenere rincorre i potenti della terra.