Le più grandi aziende alimentari e agricole mancano di trasparenza quando si tratta di donazioni politiche, secondo un nuovo studio
Ci sono anche la Coca Cola, la Pepsi e il marchio Nestlè tra le multinazionali bocciate perché nonostante l’enorme influenza che hanno sulla nostra salute, economia e ambiente, pubblicano poche informazioni su come manipolano il sistema politico a loro vantaggio. Per sintetizzare: sono poco trasparenti.
A stabilirlo è una nuova ricerca dell’ organizzazione no-profit Feed the Truth che dà un punteggio alle dieci multinazionali del food sulla base del Fact index – Food and Agriculture Corporate Transparency, l’indice che da 0 a 100 misura la correttezza nel comunicare l’azione di lobbying, le donazioni alla politica e quelle caritatevoli e il finanziamento di ricerche scientifiche.
Le aziende prese in esame sono: ADM, Bunge, Cargill, Coca-Cola Company, JBS, Mars, Nestle, PepsiCo, Inc., Tyson Foods e Unilever. Alcuni dei marchi li conosciamo bene perché sono venduti in Italia.
“È un momento di resa dei conti per le aziende e sul potere incontrollato che hanno sui nostri sistemi alimentari e democratici”, spiega Lucy Martinez Sullivan, direttore esecutivo di Feed the Truth.
“Abbiamo bisogno di una rivoluzione della trasparenza, è categorico che il pubblico, figuriamoci gli investitori, debba sapere come il Big Food utilizza le attività di lobbying, le donazioni di campagne, le ricerche finanziate dalle aziende e i gruppi di facciata per prendere le decisioni su tutto, dal cibo che viene prodotto a ciò che i nostri figli mangiano a scuola”.
Ecco la classica, dal peggiore al meno peggio:
Bunge (2/100),
Tyson Foods (3/100),
Cargill (8/100),
JBS (8/100),
Nestlé (18/100),
ADM ( 20/100),
Unilever (20/100),
Mars (24/100),
PepsiCo (26/100)
Coca-Cola Company (39/100).
Punteggi bassi per tutti, di fatto non c’è un migliore.
Il Big Food esercita questo potere nell’arena politica a proprio vantaggio utilizzando una varietà di tattiche – dall’attività di lobbying ai responsabili politici e dal finanziamento di campagne politiche al finanziamento di organizzazioni di ricerca e non profit per supportare le loro agende politiche – e lo fa in modo opaco e non del tutto trasparente.
“Questa mancanza di trasparenza significa che le aziende possono venderci un’immagine rispettosa della famiglia, dei lavoratori e dell’ambiente anche se spendono molto per bloccare le politiche che migliorerebbero la salute pubblica , ridurrebbero la disuguaglianza e la povertà e contribuirebbero a prevenire la crisi climatica”, spiega il report di Feed the Truth.
Oggi l’opinione pubblica ha bisogno di sapere cosa si nasconde dietro una lattina, dei cereali e tutto il resto.
“Le spese politiche che sono in conflitto con i valori dichiarati delle società o con le posizioni pubbliche mettono in pericolo la reputazione del marchio e a rischio i soldi dei loro investitori”, si legge ancora.
L’Indice ha esaminato specificamente quattro categorie di donazioni: quella elettorale cioè i contributi versati dalle aziende alle campagne politiche o ai singoli candidati e quelli alle associazioni di categoria che esercitano pressioni per conto dei marchi.
Le lobbying ovvero i finanziamenti ad attività che influenzano direttamente o indirettamente le decisioni di funzionari governativi, legislatori o agenzie di regolamentazione. Scientifica cioè la spesa per la ricerca o le istituzioni che spesso producono studi che aprono la strada a un ambiente normativo favorevole per i prodotti delle aziende. Infine le donazioni.
Quando per esempio, la Coca-Cola è stata considerata il principale inquinatore di plastica al mondo, ha cercato di rimediare facendo donazioni alla Nature Conservancy. Secondo Feed the Truth bisognerebbe emanare regole attraverso il Sec, l’autorità di controllo della Borsa Usa e leggi specifiche per una maggiore trasparenza.
Che cosa aspettate a smettere di acquistare prodotti di questi marchi l’unica via d’uscita è non compare più niente da loro