Al World Economic Forum di Davos, un dirigente del colosso cinese Alibaba ha annunciato con apparente entusiasmo lo sviluppo di un “tracciatore dell’impronta di carbonio individuale”, uno strumento che promette di monitorare nei dettagli la vita delle persone: spostamenti, alimentazione, acquisti e comportamenti quotidiani.
“Dove si recano? Quali mezzi usano? Cosa mangiano? Cosa comprano sulla piattaforma?”, ha elencato sorridendo J. Michael Evans, presidente del gruppo, lasciando intendere che tutto questo sarà presto tracciabile. L’obiettivo ufficiale: aiutare i consumatori a “misurare la propria impronta di carbonio”. Ma la vera domanda è: a quale costo, e con quale reale finalità?
Dietro l’apparente scopo ecologico si cela l’inquietante sistema di controllo capillare, che normalizza l’idea che ogni nostra azione debba essere osservata, quantificata e valutata. Una sorta di “credito sociale verde”, con tutte le implicazioni morali e sociali che comporta: chi emette troppo CO₂ è automaticamente colpevole!
Evans ha invitato il pubblico a “rimanere sintonizzato”, promettendo che il progetto è in fase di sviluppo. Nonostante le rassicurazioni, l’iniziativa si inserisce perfettamente nella narrazione tecnocratica che il WEF alimenta da anni: una visione del mondo gestita da élite economiche e tecnologiche che intendono “guidare” le masse verso la “giusta condotta”, con metodi sempre meno volontari e sempre più algoritmici.
A lanciare l’allarme è stata la parlamentare conservatrice canadese Leslyn Lewis, che ha paragonato questi strumenti a un surrogato del sistema di credito sociale cinese, avvertendo che non serve nemmeno un punteggio ufficiale se i governi – con la complicità delle piattaforme digitali – già decidono cosa è permesso e cosa no.
In un momento in cui la digitalizzazione avanza a velocità vertiginosa e la pandemia ha già legittimato misure emergenziali invasive, questo tipo di tecnologia rischia di diventare un altro tassello verso una società ipercontrollata in nome della sicurezza climatica. Un nuovo tipo di totalitarismo, non più fondato sull’autorità esplicita dello Stato, ma su un sistema invisibile di premi e punizioni, mediato da algoritmi e normalizzato dal marketing “green”.
E non è solo Alibaba. Anche Alphabet (Google) ha sostenuto iniziative simili, come la startup Normative, che offre strumenti per il monitoraggio delle emissioni aziendali. La piattaforma Co2Zero, basata su Alibaba Cloud, promette addirittura “incentivi di equità” per chi si comporta in modo ecologicamente virtuoso – una monetizzazione della morale che introduce una nuova forma di ricatto sociale: o ti comporti come vogliamo, o perdi l’accesso a certi servizi.
Siamo davvero disposti ad accettare che ogni nostra scelta venga trasformata in un dato, ogni gesto classificato in base alla sua compatibilità con gli obiettivi ambientali decisi da multinazionali e governi autoritari?
Quello che si profila non è un semplice strumento di sostenibilità, ma l’embrione di un modello di governance bio-digitale dove il comportamento umano viene disciplinato non più dalla legge, ma dall’algoritmo. Un greenwashing del controllo, mascherato da progresso.
mai accettare eccezioni se poi diventano regole di vita.
Un reato resta reato che va perseguito penalmente.
Quindi niente inganni nè raggiri, chiamare le cose col loro vero nome
e licenziare i magistrati se non svolgono il loro dovere.Rispolverare
la Costituzione in due parole.
Continuate a belare e state sempre a pecorina mi raccomando non ribellatevi mai gente di merda
Mi va benissimo, a patto che tale “classifica” sia pubblica e che gli stipendi percepiti siano, per tutti, in rapporto alle proprie emissioni di CO2.
Vedere questi stronzi, con i loro jet privati, auto extralusso e tenori di vita che sarebbero sufficienti a mantenere centinaia di migliaia di famiglie, ridotti sul lastrico, parafrasando la pubblicità, “non avrebbe prezzo!”.