La storia dovrebbe essere riscritta: nuove prove lasciano ben pochi dubbi sul fatto che Hitler non sia affatto morto nel bunker sotto la Cancelleria di Berlino. Colui che venne definito “il più grande criminale del Novecento”, sarebbe invece riuscito a fuggire insieme alla moglie Eva Braun e ad un gruppo di ufficiali del Terzo Reich (tra i quali il fedele segretario Martin Bormann), prima in Spagna e poi in Argentina.
Questo, almeno, è quanto rivela il Federal Bureau of Investigation (FBI), che nel 2014 ha declassificato oltre 700 documenti relativi alle indagini che vennero svolte dal 1945 al 1950 sulla presunta fuga di Adolf Hitler in America Latina. La desecretazione è avvenuta grazie alla legge Freedom of Information Act (Atto per la libertà di informazione), emanata negli Stati Uniti il 4 luglio del 1966, durante il mandato del presidente Lyndon B. Johnson.
La ricostruzione di quella fuga è stata resa pubblica nell’autunno 2015 grazie al programma televisivo “Hunting Hitler” (A caccia di Hitler) su History Channel. In otto puntate, una squadra di professionisti ha ripercorso l’itinerario che sarebbe stato seguito dal dittatore tedesco, trovando prove e testimonianze che, apparentemente, non lasciano dubbi su quanto accadde tra l’Europa e l’America Latina nei mesi successivi alla capitolazione della Germania.
Secondo quanto si può leggere nei documenti FBI, gli Americani non hanno mai creduto al presunto suicidio del dittatore tedesco. Come disse Edgard Hoover, mitico direttore dell’FBI,
“gli ufficiali dell’esercito americano di stanza in Germania non hanno localizzato il corpo di Hitler e non c’è alcuna fonte attendibile che possa sostenere definitivamente che Hitler sia morto”.
La convinzione di Hoover nasce anche dal fatto che il dittatore russo Stalin il 31 luglio del 1945, durante l’incontro di Postdam con il presidente americano Harry S. Truman e con il ministro statunitense James F. Byrnes, presenti il primo ministro britannico Clement Attlee e il ministro degli Esteri sovietico Vjaceslav Molotov, aveva dichiarato con molta fermezza
“Hitler non è nelle nostre mani”.
E ha detto apertamente che, secondo lui, il dittatore era fuggito.
La storia ufficiale
Prima di passare alle indagini dell’FBI, vediamo dunque che cosa dice la storia ufficiale circa la scomparsa di Hitler. Quando le truppe dell’Armata Rossa, al comando del generale Zucov, conquistarono Berlino, (300 mila morti da parte russa, 40 mila per i tedeschi), i soldati sovietici furono i primi ad entrare nel bunker dove Hitler e i suoi si erano rifugiati. La cronaca di quei giorni è raccolta in un dattiloscritto di 114 pagine, intitolato “Dossier Hitler”, ancora oggi conservato nell’Archivio del Presidente della Federazione Russa con il numero di matricola 41-Sh/2-v/i.
Il primo occidentale a studiare ed esaminare il Dossier è stato il giornalista tedesco Ulrich Volklein, che ha poi raccontato la sua esperienza nel libro “Hitlers Tod. Die letzten Tage im Fuhrerbunker” (La morte di Hitler. Gli ultimi giorni nel bunker del Fuhrer), Steidl Verlag, Gottingen 1998. Come racconta lo stesso Volklein,
“presunti testimoni oculari diffondono versioni assolutamente inconciliabili sugli ultimi avvenimenti nella catacomba hitleriana. E, di conseguenza, gli storici sono tutt’altro che concordi nel ricostruire le ultime ore del Fuhrer”.
Secondo la versione più accreditata dei fatti, nel pomeriggio del 30 aprile 1945 Hitler e sua moglie Eva Braun (che aveva sposato appena il giorno prima) si tolsero la vita ingerendo una fiala di cianuro. Hitler si sarebbe anche sparato un colpo alla testa con una delle sue pistole. La sera del primo maggio, invece, i coniugi Joseph e Magda Goebbels uccisero i loro sei figli col veleno e poi si suicidarono. Lui era il potente ministro della Propaganda nella Germania nazista. I cadaveri degli adulti vennero dati alle fiamme con benzina e poi sotterrati. Quelli dei bambini, invece, furono lasciati sui letti.
I russi trovarono tutti i corpi, ma dovettero arrendersi di fronte ai problemi che le autopsie rivelarono. Vennero eseguite tra il 7 e il 9 maggio 1945 nell’ospedale militare da campo di Berlino-Buch e a praticarle furono sette periti guidati dal capo esperto di Medicina legale del fronte bielorusso, colonnello Faust Josifovic Skaravski.
Mentre non ci furono dubbi circa le identità della famiglia Goebbels, si crearono diverse perplessità per quanto riguarda quelle di Hitler e di sua moglie.
Partiamo da quest’ultima. Per quanto non riconoscibile a causa del corpo devastato dalle fiamme, la donna della quale si stava esaminando il cadavere doveva avere tra i 30 e i 40 anni ed era alta circa 150 centimetri. Anche se i resti riportavano il classico odore di mandorle amare tipico delle fiale di cianuro, i chirurghi trovarono nel torace della donna un ampio squarcio intercostale e sei grosse schegge d’acciaio nei polmoni. Quella persona, dunque, era stata colpita dai frammenti di una granata.
Un cadavere più basso
Un altro enigma fu il corpo del presunto Hitler. Alto 165 centimetri, doveva avere tra i 50 e i 60 anni, era privo di un testicolo e, per quanto completamente sfigurato, non aveva alcun segno visibile di gravi ferite mortali. Anche se gli impianti dentali avevano più o meno confermato la somiglianza con quelli dello scomparso dittatore (almeno secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti russi, il tenente colonnello Fedor Parparov e il maggiore Igor Saveliev, i quali però non nascondevano le loro riserve circa quanto avevano sentito), c’erano un paio di problemi.
Prima di tutto, che fine aveva fatto il colpo di pistola alla testa? Diversi testimoni avevano affermato di aver visto Hitler morto con una ferita d’arma da fuoco alla testa. Secondo punto, Hitler, era alto 176 centimetri e non 165. Del resto, se guardiamo i vecchi filmati dell’epoca, quando Hitler era insieme a Mussolini, si vede chiaramente la differenza d’altezza tra i due dittatori: quello italiano era alto 168 centimetri, il tedesco 8 in più. Di chi era, allora, il corpo carbonizzato?
Qualcuno ipotizzò che Hitler e Eva Braun fossero fuggiti e che, al loro posto, fossero stati messi i corpi di altre due persone: una donna deceduta durante i bombardamenti (da qui le ferite da granata) e uno dei tanti sosia di cui Hitler si circondava. I testimoni sopravvissuti avrebbero volontariamente taciuto la verità per evitare che gli alleati si mettessero alla ricerca del loro capo. Qualunque sia la realtà delle cose, non si è mai riusciti a chiudere del tutto il capitolo della morte del dittatore tedesco.
Le rivelazioni dell’FBI aprono dunque una nuova prospettiva sul mistero di Hitler.
La squadra di Hunting Hitler
Realizzato dalla Karga Seven Pictures per History Channel, il documentario è basato sulle ricerche effettuate da un team di specialisti che ha seguito passo passo le indicazioni lasciate dall’FBI sulle tracce di Hitler dopo la caduta di Berlino. A guidare il gruppo è stato Bob Baer, ex agente della CIA per 21 anni e uno dei più esperti investigatori di spionaggio internazionale negli Stati Uniti. Avendo condotto complesse indagini di controspionaggio durante la sua carriera, compresa la cattura di Saddam Hussein, Baer ha applicato gli stessi metodi circa la presunta fuga di Hitler, riuscendo a verificare sul campo i rapporti che gli agenti dell’FBI avevano preparato nell’immediato dopoguerra. Per la cronaca, il personaggio interpretato da George Clooney nel film “Syriana” è basato sulla sua vita.
Insieme a Bob Baer, l’inchiesta è stata condotta anche dal dottor John Cencich (PhD), professore senior di Giustizia criminale. Cencich è un docente di lunga esperienza ed è stato lui che ha condotto le indagini che hanno portato all’incriminazione del presidente serbo Slobodan Milosevic. Inoltre, è anche l’unico uomo nella storia ad aver portato un membro di governo ad affrontare un processo per crimini di guerra. Chi lo conosce, parla della sua insuperabile abilità ad analizzare, confrontare e mettere insieme tutte le prove circostanziali, per arrivare a elaborare un caso come questo, vecchio ormai di 70 anni.
Terzo elemento del gruppo è Tim Kennedy, sergente di prima classe della 7° Unità Forze Speciali dell’esercito americano, medaglia di bronzo per il suo valore sotto il fuoco nemico. Kennedy, veterano del Medio Oriente dopo la strage dell’11 Settembre, ha partecipato alle inchieste contro al-Qaeda e Bin Laden, con esperienze operative anche in Argentina. E’ dunque il caso di dire che in questa squadra sono state messe insieme l’abilità investigativa di Bob Baer, l’analisi comparata di John Cencich e la capacità operativa di Tim Kennedy.
Le indagini sul campo
Il documentario inizia con il messaggio lanciato dalla radio tedesca, annunciante la morte di Hitler. Subito dopo seguono le dichiarazioni di Edgard Hoover che, nel 1947, rivela senza mezze misure che non esiste alcuna certezza circa la morte di Hitler.
A seguire, si parla della ricostruzione degli avvenimenti relativi agli ultimi giorni di Hitler, citando anche l’opinione di Stalin riguardo la sorte di Hitler. Nel 2009 un gruppo di scienziati americani aveva chiesto ai russi qualche campione della salma del presunto Hitler, per poterlo analizzare. Ma quello che venne consegnato, sottoposto all’esame del DNA, si rivelò essere di una donna.
Si arriva così al 2014, quando i documenti dell’FBI vengono declassificati. Si tratta di rapporti di agenti che rivelano come la persona di Hitler sia stata vista in giro per il mondo, subito dopo la caduta di Berlino. A quel punto, convinto che qualcosa di concreto ci sia dietro tutte quelle indagini, Baer mette insieme investigatori internazionali, cacciatori di nazisti, scienziati forensi, giornalisti investigativi, militari e il dottor Cenchich, per accertare quanto ci sia di vero nelle indagini eseguite a suo tempo dagli agenti dell’FBI.
In una vecchia lettera di Edgar Hoover, si legge che Hitler vive in Argentina, in una grande struttura sotterranea.
In un altro rapporto, risalente all’11 agosto 1945, si ripete che il dittatore tedesco era ospite in una vecchia struttura sotterranea, con centinaia di nazisti, a circa 1000 km a ovest di Florianapolis, 700 km a nord-nord ovest di Buenos Aires. La comunità più vicina è Charata, ed è lì che Baer spedisce subito Tim Kennedy insieme a Gerard Williams, giornalista investigativo di ottima reputazione (BBC, Reuter, eccetera) che per dieci anni si è occupato dei nazisti in Sud America. Insieme a Kennedy e Williams c’è anche il cacciatore di nazisti Steven Rambam: durante la sua carriera ne ha rintracciati 170 in giro per il mondo.
Arrivo a Charata, (Argentina)
A Charata il gruppo trova un anziano testimone che dice loro come, a quei tempi, i nazisti fossero tenuti in alta considerazione da quelle parti. Un altro, tale Juan Alberto, li porta a vedere una vecchia scuola tedesca che sorgeva nel centro di Charata. L’ultimo direttore della scuola fu Karl Buck, conosciuto dai servizi segreti americani come agente nazista.
Tra l’altro, Juan è autore di un libro che parla proprio della poco pubblicizzata presenza dei tedeschi nella cittadina. Ed è lo stesso Juan che rivela al gruppo di investigatori statunitensi come nel 1970 sia stata scoperta, in una zona rurale ad est di Charata, una cantina segreta contenente documenti, armi e bandiere del regime nazista.
Gli americani notano un’altra cosa: la gente del posto ha ancora paura a dare informazioni sui tedeschi. Ed è quello che succede anche quando arrivano alla fattoria dove venne scoperta la cantina, a oltre 15 chilometri dalla città. I proprietari mettono subito le mani avanti, spiegando che a scoprirla fu il precedente proprietario. Loro non sanno assolutamente nulla. Mostrano anche la cantina: si tratta di un locale sotterraneo, al quale si accede attraverso una scala ben costruita, dotato di sistema di areazione a due condotti. I muri sono piastrellati e il pavimento in cemento. A quel punto le indagini del gruppo si spostano su quella che era la tenuta di proprietà di Karl Buck.
Per accertare se sotto il terreno ci fosse un sotterraneo, gli americani si avvalgono dell’opera di David Kelly, compagno d’armi di Tim Kennedy in Irak. Con un georadar, e cioè una macchina in grado di verificare la presenza di locali sottoterra, Kelly comincia a il suo lavoro ispettivo. E qualcosa salta fuori. Infatti, ad una profondità tra i 2,50 e i 3 metri, il georadar localizza una galleria sotterranea. Ma è una proprietà privata e non vengono concessi permessi per scavare nella zona.
Una casa in mezzo alla jungla
Intanto, a Los Angeles, Bob Baer e il dottor Cencich scoprono che a Misiones, altro piccolo centro dell’Argentina a 950 km da Buenos Aires, alcuni archeologi hanno trovato una palazzina residenziale di proprietà tedesca nel bel mezzo della jungla. Nessuno sa perché sia stata costruita proprio lì e a che cosa servisse.
Tim e il suo gruppo vengono inviati immediatamente sul posto, insieme a Philip Kiernan, esperto in archeologia tedesca. Dopo aver guidato per tutta la notte, Tim e Philip raggiungono il campo base degli archeologi e incontrano Daniel Shavelzon, direttore dello scavo.
Non ci sono dubbi: Shavelzon spiega che la struttura trovata risale agli anni 40 e, con ogni probabilità, serviva da rifugio ai nazisti in fuga.
C’erano due camere da letto, una cucina e un bagno. Il pavimento è realizzato con piastrelle gialle e blu. Il direttore dello scavo mostra anche una scatola trovata all’interno di un muro.
Tra le altre cose, conteneva monete tedesche degli anni 40 e due fotografie: in una c’era un ragazzo che indossava la divisa nazista, con la svastica sul braccio. L’altra era un’istantanea con Hitler e Mussolini in primo piano. Curiose le caratteristiche della costruzione: i muri erano tutti in pietra e lo stile di questa villa immersa nella jungla era chiaramente europeo. C’era persino un’ampia veranda che si affacciava sulla jungla. Come Philip Kiernan fa osservare, se la casa fosse stata costruita in mattoni, bisognava acquistarli e farseli mandare. Dunque, in città l’avrebbero saputo tutti. Se, invece, fai lavorare quattro o cinque persone nella jungla, senza che le autorità ne siano al corrente, nessuno saprà mai che cosa stai facendo.
Il bunker di Hitler
Tornando a Los Angeles, Baer e Cencich vogliono controllare che cosa sia rimasto del bunker di Hitler e se sia possibile trovare un qualunque riferimento a come sono andate realmente le cose in quel giorno del 1945.
Allo scopo inviano a Berlino Lenny DePaul, un cacciatore di uomini tra i più abili al mondo. DePaul era al comando di 380 investigatori a tempo pieno (US Marshall), incaricati dal Congresso degli Stati Uniti di ricercare i peggiori criminali in fuga. Per l’occasione, DePaul ha interpellato Sasha Keil, co-fondatore di “Berlino Sotterranea”, un’organizzazione che conserva un ampio archivio di documenti del Terzo Reich.
Scartabellando tra le varie pagine, Keil trova le testimonianze del capitano della SS Heinz Linge, cameriere personale di Hitler, e dell’autista personale di Hitler, il soldato delle SS Erich Kempa. Ebbene, né Linge né Kempa dissero di aver visto personalmente i corpi senza vita di Hitler e di sua moglie. Affermarono, invece, che quei cadaveri appartenevano ad un uomo e a una donna avvolti nelle coperte e che a loro era stato detto che fossero appunto quelli del dittatore e di Eva Braun.
Il fatto poi che le varie testimonianze fossero di fatto contraddittorie e in diverse occasioni anche opposte fra loro, fa considerare al team di Hunting Hitler che il caso della morte del dittatore sia davvero ancora aperto.
Baer e Cencich giungono alla conclusione che una risposta alla scomparsa di Hitler può trovarsi soltanto in Argentina, paese che ha dato ospitalità a diverse centinaia di nazisti in fuga. Qualcuno, come Adolf Eichmann, viveva allo scoperto con il nome di Riccardo Klement, lavorando come meccanico nella fabbrica Mercedes Benz di Buenos Aires. Fino a quando non venne catturato dagli israeliani.
Farmaci per lo stomaco
Intanto Tim Kennedy e Philip Kiernan, esperto di archeologia tedesca, esaminano la struttura trovata nel bel mezzo della jungla a Misiones. Il primo edificio è una residenza molto lussuosa. Il secondo non si capisce bene. Forse era una specie di grande camera blindata, visto lo spessore dei muri. Ma non si riesce a comprendere a che cosa servisse. C’è anche un terzo edificio, probabilmente un laboratorio, con tunnel sotterraneo che forse serviva a incanalare l’acqua piovana.
Tra le rovine, diverse bottiglie di farmaci, la maggior parte dei quali per problemi di stomaco. Dal momento che la peggiore preoccupazione di Hitler era costituita dai problemi allo stomaco, gli investigatori ipotizzano che quella struttura nascosta nella jungla sia stata fatta apposta per nascondere un personaggio importante come il dittatore tedesco.
Non è un’idea balzana: come si vedrà nel corso delle indagini, ben prima della fine della guerra i tedeschi avevano realizzato in varie parti del mondo strutture in grado di nascondere personaggi in fuga, in perfetta sicurezza. In altre parole, si erano già preparati ad affrontare un’eventuale sconfitta allestendo un corridoio di emergenza per il proprio leader. Da notare che, quando le strutture non servivano più, venivano subito demolite per non lasciare tracce.
Parlando delle ultime ore di Hitler nel bunker, Cencich spiega che è stato in Russia dove gli hanno mostrato un teschio dicendo che era quello di Hitler. Bastò un piccolo esame per accertare che quel cranio era appartenuto ad una donna sulla trentina e mostrava i buchi di una pallottola. In teoria, quindi, avrebbe potuto appartenere ad Eva Braun, ma non risulta che la moglie di Hitler si fosse sparata.
Cencich afferma che l’ideale sarebbe poter confrontare il DNA del teschio con quello di un parente vivente della Braun. Per ottenerlo, Lenny DePaul e l’investigatore privato tedesco Stephan Schlentrich, si recano presso l’abitazione dell’unica parente ancora in vita di Eva Braun, in un piccolo sobborgo della Germania sud-occidentale. Ma viene loro sbattuta la porta in faccia: la donna non vuole avere a che fare con quella storia.
La fuga dal bunker
Chiusa l’opportunità della parente di Eva Braun, Baer si domanda come abbia potuto fare Hitler a fuggire dal bunker, superando le linee russe. Tra l’altro, nel 1999 il Fuhrerbunker è stato riempito e interrato per costruire un parcheggio, per cui non esiste più. Christoph Neubauer, storico forense e artista del 3D, ha trascorso circa un decennio in cerca di prove per realizzare la ricostruzione storica in 3D del bunker di Hitler. Riesce dunque a farne una copia abbastanza attendibile.
Il problema, però, è un altro. Come avrebbe fatto Hitler a fuggire dal bunker, se la zona in cui si trovava era ormai sotto il controllo dei russi?
Ne discutono Lenny DePaul e Sasha Keil, un esperto della Berlino di quegli anni. Le tre possibili vie di fuga erano via mare, treno o aereo.
Escluse le prime due per ovvi motivi logistici, non restava che l’ultima. Tanto più che il 28 aprile del ’45 (due giorni prima del presunto suicidio di Hitler) la pilota collaudatrice Hanna Reitsch, che apparteneva al giro di Hitler, portò in volo fuori dalla Berlino assediata dai russi, il generale della Luftwaffe Robert Ritter von Greim.
Sarebbe stato dunque possibile che Hitler avesse pianificato la fuga, in modo che nessuno ne sapesse nulla?
Basandosi sulle centinaia di ore di interrogatori ai membri della ristretta cerchia di Hitler da parte di Michael Musmanno, giudice del processo di Norimberga, Keil riesce a trovare alcune dichiarazioni illuminanti.
Un tenente tedesco affermò che esisteva un piano per far fuggire il fuhrer già due anni prima della fine della guerra. Inoltre, il 20 aprile del ’45, giorno del suo compleanno, Hitler disse chiaramente che accettava di andare a Sud. Quello fu anche l’ultimo giorno in cui gli abitanti del bunker videro Hitler vivo.
Ma la testimonianza più straordinaria fu quella dell’ammiraglio nazista Karl von Puttkamer, il quale raccontò che il 21 aprile otto o dieci aerei decollarono dagli aeroporti di Staaken e Tempelhof in direzione sud. L’aereo dell’ammiraglio decollò da Staken, tutti gli altri da Tempelhof. Dai registri di volo degli aerei che abbandonarono Berlino, risulta che, oltre ai piloti e ai militari, c’erano almeno 16 passeggeri. Il primo aereo, inoltre, era stato caricato con gli effetti personali di Hitler. Che motivo c’era di portar via quel materiale, se Hitler non fosse stato su quel volo?
Un altro interrogativo era la posizione dell’aeroporto di Tempelhof. Da un controllo, emerge che questo scalo si trovava all’interno delle linee di difesa tedesche e i russi riuscirono ad occuparlo soltanto il 28 aprile del ’45. Quattro giorni dopo i tedeschi si arresero.
Ma come avrebbe potuto Hitler raggiungere l’aeroporto, se tutto intorno al bunker infuriava la battaglia? Studiando la Berlino sotterranea, gli investigatori americani hanno così scoperto che un tunnel della metropolitana collegava direttamente l’area del bunker con l’aeroporto di Tempelhof. Il cerchio si chiude: a quel punto ci sono le prove che il 21 aprile avvenne l’esodo di alcuni grandi gerarchi nazisti che lasciarono Berlino via aereo. Tra di loro, poteva benissimo esserci anche Hitler, i cui effetti personali viaggiavano con lui.
U-Boot, la via del mare
Secondo un rapporto FBI dell’epoca, sei alti ufficiali argentini avrebbero aiutato a nascondere Adolf Hitler, giunto in Sud America con un sottomarino. Gli U-Boot tedeschi approdarono in Argentina, lungo la penisola di Valdes, sulla costa meridionale. Secondo le relazioni ufficiali, il 5 maggio del ’45 a tutti i sottomarini tedeschi venne ordinato di entrare nel porto più vicino per la resa. Quasi tutti i capitani ubbidirono, ma 46 U-Boot non si fecero vedere. Due di questi, emersero al largo delle coste argentine e si arresero tre mesi dopo.
Bob Baer si domanda quale distanza possa percorrere uno di quei sottomarini, senza fare rifornimento. Il dottor Cencich risponde 14mila km, e la distanza tra l’Europa e il Sud America è di circa 12mila km. Per determinare se ci sono testimonianze circa la presenza di sottomarini tedeschi in Argentina, Baer invia Steven Ramban, cacciatore di nazisti, Tim Kennedy, delle forze speciali dell’esercito USA, e Gerrard Williams, giornalista investigativo, nel presunto approdo argentino di Hitler.
Dopo aver guidato per ore, alla fine la squadra raggiunge la punta della penisola di Valdes, esattamente nel punto preciso dell’approdo, secondo i rapporti FBI. Tuttavia, i tre si rendono presto conto che quel posto, dotato di un faro nel bel mezzo del nulla, è troppo scomodo da raggiungere e non sarebbe stato agevole per un uomo di 56 anni, come Hitler. Decidono, dunque, di cercare un approdo più confortevole per un sottomarino. Analizzando i rapporti FBI, il gruppo scopre che la persona che faceva da punto di riferimento per i nazisti in fuga, era un certo Geraldo Lahusen, proprietario di un’importante azienda (la German Lahusen, molto nota nel commercio della lana) con sede a San Antonio Oeste, poco distante dalla penisola di Valdes. Lahusen e i suoi dipendenti erano nazisti convinti e avevano giurato fedeltà a Hitler. Poco per volta emerge il piano nazista in Sud America: creare una rete di aziende floride che, all’occorrenza, avrebbero potuto finanziare e sostenere i nazisti in fuga. Per la cronaca, questo intreccio economico è giunto sino a noi ed è esteso in tutto il mondo.
Intanto a Berlino Lenny De Paul e Sasha Keil scoprono che il bunker e l’aeroporto sono collegati da un tunnel della metropolitana lungo 3,5 km. La galleria della linea U6, termina a 275 metri dall’aeroporto, l’unico tratto scoperto che avrebbe dovuto percorrere Hitler nella sua fuga. Ma ci sono alte probabilità che durante la guerra ci fosse una galleria che univa l’uscita della metropolitana all’entrata dell’aeroporto. La cercano con il georadar e, alla fine, la trovano. Si tratta di un tunnel alto circa 3 metri e largo uno che portava dall’uscita della metropolitana all’interno dell’aeroporto: i tedeschi, dunque, avevano preparato con cura la fuga dei propri capi. Niente, come ci si aspetta dai tedeschi, era stato lasciato al caso. A guerra conclusa, comunque, quella galleria venne murata.
Venti aerei per fuggire da Berlino
La scena ritorna in Argentina, dove la squadra americana scopre che Lahusen era un ricco imprenditore che controllava anche il Banco Nation, la banca locale. I tre vengono in contatto con un testimone che parla loro della presenza di un sottomarino tedesco nel porto di San Antonio Oeste. Non solo. Tre mesi dopo la fine della guerra, la nave argentina Mendoza avvista un sottomarino tedesco che operava nel loro stesso mare.
Gli americani trovano anche un vecchio subacqueo, Tony Brochado, che per decenni ha lavorato nelle acque della zona. Brochado sostiene che la presenza di sottomarini tedeschi in quell’area, dopo la guerra, è assolutamente certa. E porta anche la testimonianza di una donna italiana, tale signora Paesani, che dalla sua cucina aveva visto un sommergibile in un posto detto Caleta de los Loros.
A Los Angeles, nel centro comandi dal quale l’intera operazione viene seguita, Baer riflette su quello che deve essere stato il piano di fuga dei gerarchi nazisti. Studiando le carte dell’epoca, ha scoperto che i tedeschi per le ricognizioni a lungo raggio usavano i Focke-Wulf Condor 200, aerei dotati di serbatoi di carburante supplementari, in grado di percorrere fino a 3200 km con un pieno. Hitler ne aveva 20 a disposizione. Considerando la situazione geografica del ’45, l’unico Paese in cui i tedeschi potevano trovare aiuto in caso di fuga, era la Spagna di Francisco Franco.
I nazisti e la Spagna di Franco
Ed è proprio in Spagna che l’esercito americano si recò in cerca di Hitler, su segnalazione dell’FBI. La squadra americana viene così a conoscenza che il dittatore spagnolo aveva una residenza fortificata in Galizia e vi si trasferisce. Cercano di visitarla, ma vengono cacciati in malo modo.
Tuttavia, nel vecchio cimitero di La Coruna, trovano una svastica su una lapide che indica l’ultima dimora di un gruppo di soldati tedeschi. E’ la prova che la Spagna di Franco mantenne contatti aperti con la Germania nazista fino all’ultimo. Ma questo non è il solo elemento di congiunzione tra la Spagna franchista e la Germania nazista.
Nel 1944 l’allora OSS, l’Ufficio dei Servizi Strategici che dopo la guerra assumerà il nome di CIA, lanciò il progetto “Safe Haven” per rintracciare i movimenti di oro e beni nazisti nel mondo. Nel 2009 questi documenti vennero resi pubblici e si venne così a scoprire che l’intera Spagna era una partner commerciale dei nazisti. In particolare la Galizia.
A Vigo, 294mila abitanti, era attivissima l’esportazione di tungsteno, una sostanza molto usata per le armi da guerra. Solo nel 1945 il commercio di tungsteno verso la Germania risultò essere di 22,7 milioni di dollari, pari ad un valore attuale di 299 milioni di dollari. Questa montagna di soldi veniva gestita da una struttura tedesca in loco. Struttura, per inciso, che restò inalterata anche dopo la guerra.
Dunque, i nazisti potevano contare su un punto d’appoggio di non poco conto in terra spagnola. Baer invia Gerrard Williams e Lenny DePaul a Vigo, per studiare l’ambiente. A loro si unisce lo storico Edoardo Rolland, esperto della presenza tedesca in Galizia. Quest’ultimo fa delle rivelazioni fondamentali agli amici americani. Si viene così a sapere che nella baia di Vigo, sull’Atlantico, c’è sempre stata un’intensa attività di sottomarini tedeschi durante e dopo la guerra. Dal momento che il tungsteno serve a rendere più duro l’acciaio, è sicuro che quel sito spagnolo fosse di importanza strategica per i nazisti.
Ma come mai gli U-Boot tedeschi continuavano a far scalo a Vigo a guerra conclusa, quando delle città tedesche non restavano ormai che fumanti macerie?
Rolland spiega che da qualche parte continuava ad esserci una centrale nazista operativa e che Vigo veniva utilizzata per far fuggire i criminali nazisti dall’Europa. Probabile destinazione: la costa meridionale dell’Argentina. Secondo fonti storiche, pare che i fuggitivi si travestissero da sacerdoti, con il consenso del Vaticano. Del resto, il coinvolgimento della Croce Rossa e della Chiesa cattolica nella fuga dei nazisti venne ampiamente provato nel dopoguerra.
Hitler visto nel monastero
Indagando sul posto, gli americani incontrano lo storico galiziano Xavier Quiroga, il quale ha scritto un libro sul monastero di Samos, un’imponente struttura religiosa risalente al settimo secolo, a circa 200 km da Vigo. Dal monastero dipendono oltre duecento chiese della zona. Quiroga racconta che nel 1945 il monastero era guidato dall’abate Mauro, molto vicino al dittatore Franco. In quell’anno cominciarono ad arrivare diversi nazisti, travestiti da monaci. Il monastero li ospitava e forniva loro documenti falsi e nuove identità, in attesa che si imbarcassero sui sottomarini che li avrebbero portati in Argentina. Misteriosamente, la biblioteca e l’ala del monastero dove venivano ospitati i nazisti, nel 1950 vennero distrutte da un incendio.
Un vecchio della zona afferma che il primo maggio del 1945 vide con i suoi occhi Hitler in persona al monastero. Era il giorno dopo la presunta morte del dittatore tedesco. Questo testimone afferma che nel 1945 aveva 15 anni e lavorava insieme ad altri operai alla costruzione di tunnel segreti all’interno del monastero. Queste opere erano state ordinate dai tedeschi. Fu durante quei lavori, che un giorno vide distintamente Hitler. Del resto, la presenza del Fuhrer era nota ai residenti della zona. Secondo il racconto del vecchio spagnolo, Hitler era atterrato con un aereo, insieme ad altre quattro persone, in una pista nei pressi della cittadina di Còrneas. Da qui, poi, lo avrebbero portato al monastero. Il vecchio insiste sul fatto che anche altre persone avrebbero visto il dittatore tedesco, quando era sceso dall’aereo.
Gerrard e DePaul si recano quindi a Còrneas, in cerca di nuovi testimoni. E un altro salta fuori. All’epoca aveva 18 anni e spiega che stava pescando nel fiume, quando vide un aereo abbassarsi sopra la sua testa. Atterrò in un campo di patate lì vicino e ne uscirono il pilota con quattro o cinque soldati tedeschi. Il giornalista spagnolo Serafin Terrajorres conferma che sul posto c’era una caserma che ospitava soldati tedeschi. Sul tetto di questa caserma si trovava un’antenna radio di 120 metri, costruita dalla Telefunken, all’epoca una delle industrie di comunicazione più importanti della Germania. In seguito ne costruirono altre due, che svolgevano la funzione di radiogoniometro per gli aerei in avvicinamento. In pratica, una specie di radio faro che permetteva l’atterraggio nella zona. Gli americani verificano anche la grandezza del campo di atterraggio: era lungo 2.454 metri e largo 430 metri. Ad un Condor tedesco ne bastavano 1.800 per atterrare.
Rifornimento alle Canarie
Si presenta un altro problema. La distanza tra la costa spagnola e quella argentina, come abbiamo visto, è di circa 12mila km. Si tratta di un viaggio molto lungo, estenuante. Particolarmente gravoso, poi, per un uomo come Hitler che soffriva di asma e ulcera. Baer si domanda, dunque, dove un sottomarino possa fare tappa prima di intraprendere la pista atlantica. La risposta è una sola: le isole Canarie, a quel tempo territorio neutrale in quanto parte della Spagna. Dopo 1500 km dalla partenza, sono l’unico posto dove un U-Boot si poteva fermare per fare rifornimento. La squadra americana, dunque, si sposta a Las Palmas, capitale della Gran Canaria.
La prima persona che incontrano è Francisco Kampof, discendente di una delle più grandi compagnie navali degli anni Quaranta: la Warman House. Era stata fondata da suo nonno, un ingegnere. Kampof spiega che durante la guerra gli U-Boot tedeschi facevano regolarmente scalo a Las Palmas, dove facevano rifornimento, riparavano eventuali guasti e caricavano siluri.
A Las Palmas, infatti, si trovava una forte concentrazione di tecnici tedeschi, in stretto contatto con la Germania. Le comunicazioni radio venivano eseguite con quattro macchine Enigma, cioè con uno strumento che criptava qualunque messaggio inviato via etere. Solo verso la fine della guerra un gruppo di matematici inglesi riuscì a scoprire, e a decriptare, il metodo di trasmissione.
Gli armamenti dei sottomarini venivano eseguiti in tunnel sotterranei, prossimi al mare. Javier Duran, un giornalista del posto, rivela che nella zona ci sono circa 7000 metri quadrati di gallerie, con ventilazione naturale e meccanica. I tedeschi, insomma, avevano costruito una vera e propria base militare segreta che costituiva uno strategico punto d’appoggio nel bel mezzo dell’Atlantico.
Continuando ad indagare, gli americani scoprono che il primo tedesco ad arrivare alle Canarie fu l’ingegnere Gustav Winter che nel 1930 si trasferì alle Canarie, dove costruì una villa che divenne zona militarizzata sotto il regime di Franco. E da allora che i tedeschi cominciarono a costruire la loro base alle Canarie. Gli americani si recano sul posto dove sorge la villa: si parla di 17 ettari di terreno privato e vulcanico, in prossimità del mare, completamente sgombro di vegetazione, nel mezzo del quale sorge la villa.
Da lì gli occupanti potevano controllare tutta l’area intorno. Senza ombra di dubbio, quella costruzione in mezzo al nulla è una fortezza, un nascondiglio ideale. Gli americani riescono ad ottenere il permesso di visitarla dagli attuali proprietari, una società di sviluppo immobiliare che vuole trasformare la villa in un resort turistico. Oltre a diverse stanze in grado di ospitare più di dieci persone, gli americani trovano anche una specie di struttura medica, completamente piastrellata. In altre parole, una specie di clinica dove si potevano effettuare operazioni chirurgiche e avere assistenza. Il posto ideale dove nascondersi, in caso di bisogno. Soprattutto per un fuggitivo del livello di Adolf Hitler.
Destinazione: San Carlos de Bariloche
Secondo i documenti dell’FBI, vi sono due ipotesi praticabili per trovare quella che fu la destinazione finale di Adolf Hitler. La prima dice che il dittatore tedesco e i suoi collaboratori si fossero diretti verso le Ande meridionali, dove poi si sarebbero nascosti in un ranch. La seconda, invece, afferma che Hitler viaggiasse verso la vasta tenuta di un tedesco in Patagonia. Comunque sia, la strada da percorrere passa per San Carlos de Bariloche, la Berlino argentina. Bariloche è nota da anni per essere l’epicentro della fuga dei criminali tedeschi in Argentina. Qui, Reinhard Koops, ufficiale dell’intelligence nazista, ricercato per crimini contro l’umanità, è morto all’età di 86 anni.
Sempre qui, Erich Priebke, capitano delle SS, responsabile del massacro di 325 italiani alle Fosse Ardeatine, ha vissuto liberamente, facendo l’insegnante, fino alla sua cattura nel 1995. A Bariloche, per essere chiari, gli stranieri non sono graditi e nessuno vuole avere a che fare con chi dà la caccia ai criminali nazisti.
Tanto per dare un’idea più precisa di che cos’è questo posto, occorre sapere che Bariloche è un remoto paese al confine con il Cile, isolato, inaccessibile e protetto dal resto del mondo. Una volta era la roccaforte dei nazisti in fuga, che qui hanno ricostruito un angolo di Germania. L’architettura è in stile bavarese e non mancano i negozi che vendono cioccolato e altri generi tipicamente germanici.
Per farsi aiutare nel difficile compito di raccogliere informazioni, la squadra americana ha assunto J.P. Cervantes, berretto verde con una lunga carriera militare alle spalle. Cervantes si era addestrato proprio a Bariloche con i militari argentini, i quali gli avevano detto che negli anni Quaranta la loro missione era proprio proteggere gli ufficiali delle SS rifugiati in loco. Del resto, nessuno a Bariloche parlerebbe mai con uno straniero.
Indagando a livello istituzionale, gli americani scoprono che la linea ferroviaria che raggiunge Bariloche venne costruita dai tedeschi già nel 1934, undici anni prima della fuga di Hitler. I treni giungono da San Antonio Oeste, altra base nazista in Argentina, a 640 km di distanza. Il maggior utilizzatore della linea ferroviaria era il tedesco Geraldo Lahusen, che trasportava animali e persone fino a Bariloche. Insomma, un dominio tedesco in terra argentina costruito con largo anticipo, rispetto alla guerra, per poter permettere una comoda via di fuga, con protezione politica e finanziaria, qualora le cose si fossero messe male.
Casa Inalco, la villa sul lago
Secondo i documenti FBI, Hitler avrebbe vissuto per un certo periodo di tempo in una villa protetta nei pressi di Bariloche, la Casa Inalco.
Il nascondiglio era perfetto. Si tratta, infatti, di una residenza a diversi chilometri dalla città, circondata da 180 ettari di fitta foresta e accessibile solo dal lago, nei pressi del quale si trova. Due isolette ne nascondono la vista. Nessuna strada raggiunge la villa. Tutto quello che si sa è che tutto quel terreno venne acquistato nel 1940 da Jorge Antonio, capo della Mercedes Benz in Argentina, uno dei primi nazisti ad essersi trasferito qui.
La residenza venne completata nel 1945 e poi non se ne sentì più parlare. Il problema è che la villa ancora oggi è proprietà privata e che gli attuali proprietari, dei quali non si sa assolutamente nulla, non rilasciano permessi di alcun tipo. L’area, insomma, è off limits, per cui l’unico sistema per vedere la villa è avvicinarsi di nascosto.
Tim Kennedy si dice pronto a farlo, per cui gli americani decidono di raggiungere la locazione. Dopo alcune ore di viaggio in motoscafo, la squadra arriva nei pressi della piccola insenatura dove sorge la villa. Subito notano una torre di guardia che protegge l’area in entrata e in uscita. Se una mitragliatrice fosse piazzata lì, impedirebbe l’accesso di qualunque natante.
L’imponente struttura di Casa Inalco sorge a una decina di metri dalla spiaggia, circondata da una fittissima vegetazione alle sue spalle. Tim Kennedy conta tre comignoli, due porte d’ingresso, quindici o diciassette finestre. Kennedy ferma il motoscafo dietro una delle due isolette di fronte alla villa, affinché non si possa notare dalla villa, e scende in acqua. A nuoto arriva fino alla villa. La prima cosa che vede, toccata terra, è una rampa da idrovolanti che dal lago arriva fino all’ingresso della villa. E’ chiaro che sia proprio quello il mezzo di trasporto più usato dai proprietari della villa. L’edificio, comunque, non è disabitato. Mentre Kennedy ispeziona la zona, nota una persona che esce dalla villa e si dirige verso la spiaggia. L’americano si nasconde e aspetta fino a quando il custode non rientra in casa. Poi, torna a nuoto verso il motoscafo.
Bob Baer, a Los Angeles, decide che sia il caso di sapere qualcosa di più su quella villa che si configura come un perfetto nascondiglio per un fuggitivo come Hitler. Questa volta Tim Kennedy sarà affiancato da J.P. Cervantes e si faranno precedere da un drone, che controllerà la situazione dall’alto. Questa volta scoprono che, dietro la villa, c’è il sistema di areazione di un tunnel sotterraneo. Controllano con una microtelecamera in fibra ottica, dotata di un tubo di trenta metri. Ma si accorgono che sottoterra ci sono solo macerie. Il tunnel è stato fatto saltare.
La testimone che vide Hitler
Proseguendo nelle loro indagini, gli americani apprendono dai documenti FBI che Hitler sarebbe stato ospite anche dell’albergo Eden di La Falda, poco fuori Cordoba, a metà tra Bariloche e Misiones. Vi si recano. Scoprono così che questo hotel, il più lussuoso della zona, era di proprietà di Ida e Walter Eichhorn, due nazisti della prima ora che si erano trasferiti in Argentina già nel 1912. Nelle lettere, Hitler li chiamava “miei cari amici”. A questo punto pare evidente che almeno una decina d’anni prima della fine della guerra, la Germania aveva costruito in Sud America un tessuto economico-finanziario in grado di nascondere e sostenere finanziariamente i propri capi, qualora la situazione fosse precipitata da un punto di vista militare.
Quando gli americani giungono sul posto, l’Albergo Eden è ormai in disuso da anni. Ariel Mansoni, uno storico locale, spiega che la struttura a suo tempo era l’hotel più lussuoso dell’Argentina e aveva ospitato numerosità celebrità, come Albert Einstein. Negli anni Trenta era il punto d’incontro dei nazisti della regione di Cordoba.
L’aiuto di Mansoni diventa determinante per scoprire un’altra testimone che sostiene di aver visto Hitler in persona proprio in quel posto. Secondo questa testimonianza, Hitler non stava nell’albergo, bensì nella casa degli Echhorn, a circa 150 metri dall’hotel. La persona di cui si parla è Catalina Gamero, la quale dice che tutti i giorni andava a portare la colazione a Hitler presso la residenza degli Echhorn. Secondo il racconto di questa signora, ormai molto anziana e malata, Hitler stette per 9 o 10 giorni a La Falda, in casa dei coniugi Echhorn. Subito dopo, il dittatore si sarebbe spostato nel castello Mandl, anche questo di proprietà tedesca.
Fritz Mandl, amico di Ida e Walter Echhorn, era conosciuto dall’FBI come il re delle munizioni austriaco. Secondo gli agenti FBI, aveva convertito la sua fabbrica di biciclette in Argentina in una fabbrica di munizioni.
Un altro documento FBI, la cui fonte era un agente segreto francese, rivela che il 7 novembre 1944 vi fu una riunione con i maggiori industriali tedeschi, i quali vennero informati che la guerra non poteva essere vinta, pertanto gli imprenditori dovevano prepararsi a finanziare il partito nazista che sarebbe stato costretto alla clandestinità.
Hitler presente a un balletto in Brasile
Lo stesso agente segreto di prima, avverte l’FBI che nel febbraio del 1947 a Cassino, città del Brasile a circa 800 km da Misiones, durante uno spettacolo che si svolgeva al Grand Hotel di Cassino, aveva riconosciuto senza ombra di dubbio Adolf Hitler tra il pubblico presente. L’agente riferisce, inoltre, che vicino all’albergo si trovava una stazione radio dotata di una lunga antenna che, invece di essere in verticale, era stata collocata orizzontale, forse per non essere notata dall’alto. Per verificare l’informazione, Baer manda la sua squadra in Brasile.
A Cassino gli americani incontrano Alessandra Farhina, direttrice ed esperta della storia dell’albergo della zona, l’Hotel Atlantico. La donna conferma che quello è lo storico, e unico, albergo della zona. Ed è lo stesso molto frequentato dai tedeschi nel dopo guerra. Scartabellando negli archivi della Gazzetta, un giornale locale, il giornalista Gerrard Williams scopre che il 5, 6 e 7 febbraio del 1947 al Grand Hotel Atlantico di Cassino si svolse uno spettacolo di danza classica, prima ballerina Liza Cova. La notizia dell’agente francese pare dunque confermata.
Un’altra conferma arriva dalla dottoressa Tais Capello, una storica che da anni studia la presenza dei nazisti in Brasile. Alla Capello risulta che a Cassino risiedeva un tedesco di nome Sanders che aveva lavorato all’installazione di un stazione radio locale. Oggi quell’edificio non esiste più.
L’ultima segnalazione: Hitler a Bogotà
Ma c’è un altro rapporto dell’FBI che suscita l’interesse della squadra americana. Il documento, datato 22 maggio 1948, colloca Hitler a Bogotà, in Colombia.
Secondo questa nota informativa, Hitler sarebbe giunto in aereo a Bogotà insieme a due medici tedeschi e a due piloti. Secondo l’agente dell’FBI, il gruppo portava i piani segreti per la bomba B3 Skyrocket e l’intera documentazione sulle armi nucleari tedesche. Una volta atterrati, il pilota avrebbe bruciato l’aereo e sommerso i resti nella vicina palude.
Queste informazioni corrispondono a quelle storiche in nostro possesso. Risulta, infatti, che già nell’aprile del ’39 la Germania aveva lanciato l’Uranprojekt, per sviluppare armi nucleari tedesche in segreto. Il missile B3 aveva una gittata di 3mila km, per cui dalla Colombia sarebbe stato in grado di raggiungere gli Stati Uniti.
Quello del ’48 era l’ultimo rapporto FBI disponibile. La squadra americana si è recata anche in Colombia per vedere se riusciva a trovare i resti dell’aereo, ma non ci è riuscita. A questo punto non è stata più in grado di andare avanti.
Cosa resta, dunque, di questa grande e complessa indagine internazionale?
Considerando tutti gli elementi trovati, risulta che la Germania ha preparato con circa dieci anni di anticipo sulla Seconda Guerra Mondiale una base in America Latina per favorire un’eventuale fuga dei propri capi nazisti.
Gli aerei che hanno lasciato la Germania sono giunti in Galizia, nella Spagna franchista; da qui i fuggitivi si imbarcavano con nuovi documenti e identità sugli U-Boot tedeschi; la prima tappa era Las Palmas, alle Canarie, dove i sottomarini facevano rifornimento; successivamente ripartivano verso la costa meridionale dell’Argentina; qui trovavano una rete logistico-finanziaria in grado di smistarli in vari centri protetti.
Dalle prove ottenute dall’FBI, e verificate dalla squadra di Bob Baer, risulta che effettivamente Hitler sia fuggito dal bunker e si sia rifugiato da qualche parte in America Latina. Ovviamente, sarebbe molto meglio se questa parte della storia sconosciuta fosse indagata e studiata dagli storici di professione, invece che dai giornalisti. Altrimenti, come spesso succede, la realtà finisce per diventare una specie di leggenda metropolitana sulla quale ognuno dice la sua. A meno che, e questo è più probabile, non ci sia l’interesse di qualcuno per lasciare tutto così com’è.