Mentre a Gaza si contano decine di migliaia di morti, in gran parte civili, e la distruzione ha raggiunto proporzioni da dopoguerra, l’Unione Europea si muove ancora con i piedi di piombo. Nella sua recente dichiarazione, Ursula von der Leyen ha aperto a sanzioni contro ministri israeliani “estremisti” e a una sospensione parziale dell’accordo commerciale con Israele. Ma è una mossa tanto tardiva quanto debole.
L’ipocrisia europea è armata
È inutile girarci intorno: l’UE, nel suo insieme, è stata parte del problema. Mentre in pubblico si parlava di “moderazione” e “cessate il fuoco”, diversi Paesi membri — come Germania, Francia, Italia e Paesi Bassi — hanno continuato a fornire armi e componenti militari a Israele, anche dopo l’inizio dell’assalto su Gaza.
Parliamo di bombe, missili, droni e tecnologie di sorveglianza, in molti casi con licenze statali che sono rimaste attive nonostante le denunce di ONG e la richiesta di embargo da parte del Parlamento Europeo.
Chi bombarda con le nostre armi?
I dati sono chiari. La Germania è il secondo fornitore di armi a Israele dopo gli Stati Uniti, e ha incrementato le licenze per l’export bellico proprio nel periodo in cui l’esercito israeliano raddeva al suolo Rafah e Khan Yunis. L’Italia ha evitato imbarazzi limitando la comunicazione pubblica sul tema, ma non ha mai sospeso ufficialmente l’export. Lo stesso vale per Francia e altri Paesi baltici.
Parlare oggi di “sanzioni selettive” contro singoli ministri israeliani è una presa in giro. L’Europa ha alimentato attivamente questo conflitto, non solo con le armi, ma anche con il silenzio, con il commercio e con il supporto politico — spesso acritico.
La narrazione anestetizzata
Il linguaggio delle istituzioni europee è stato per mesi un esercizio di equilibrio ipocrita. “Proporzionalità”, “diritto all’autodifesa”, “situazione complessa”: tutte formule linguistiche pensate per non accusare mai direttamente Israele di crimini di guerra, nonostante le prove crescenti. Nessuna menzione esplicita di apartheid, colonizzazione o punizioni collettive. Nessuna condanna seria per gli attacchi a scuole, ospedali, convogli umanitari.
E ora che, sotto pressione pubblica, la Commissione annuncia “proposte” di sanzioni, non c’è nessuna garanzia che vengano approvate, né che tocchino davvero gli interessi strategici israeliani.
Un’Europa che ha già perso credibilità
Il mondo non guarda solo quello che l’UE dice, ma quello che fa. E finora, Bruxelles ha dimostrato di saper essere rapidissima quando si tratta di colpire i “nemici” geopolitici, come la Russia, ma inspiegabilmente timida quando l’aggressore è un alleato.
Questa doppia morale ha un costo altissimo: quello della totale perdita di credibilità come attore internazionale. L’Europa non può più pretendere di essere portatrice di valori se continua a sostenere (anche economicamente e militarmente) un’occupazione brutale e illegale e il genocidio in corso.