All’inizio degli anni Duemila, la DARPA, l’agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, nota per la sua propensione a sviluppare tecnologie all’avanguardia, spesso ai confini della fantascienza, stava portando avanti un progetto tanto ambizioso quanto inquietante. Questo progetto venne successivamente scoperto e reso pubblico grazie all’attento lavoro di giornalisti e ricercatori che monitoravano da vicino le attività dell’agenzia.
Il progetto si chiamava LifeLog, e il suo obiettivo era rivoluzionario: creare un sistema in grado di registrare e archiviare ogni singolo dettaglio della vita quotidiana di una persona. Non in modo frammentario, ma in maniera continua, dall’alba al tramonto, giorno dopo giorno. Ogni parola pronunciata, ogni conversazione, ogni messaggio inviato, ogni pagina web consultata, ogni spostamento, ogni immagine guardata o fotografata, ogni interazione sociale, tutto avrebbe dovuto essere catturato e integrato in un’unica memoria digitale centralizzata, in grado non solo di raccogliere dati, ma anche di analizzarli, organizzarli, renderli accessibili e “navigabili”. Come se l’intera esistenza di una persona potesse essere esplorata come una mappa interattiva: un archivio vivente, navigabile, capace di raccontare chi siamo attraverso ogni nostro gesto, parola, scelta.
Era un progetto operativo finanziato con fondi pubblici statunitensi, con una roadmap ben definita, e aperto ufficialmente alla partecipazione di università, aziende tech e laboratori di ricerca. Non si trattava di un progetto “ipotetico”: tutto è ampiamente documentato nei report pubblici dell’epoca, in comunicati ufficiali, articoli accademici e persino nei bandi pubblici della DARPA.
L’obiettivo di LifeLog era duplice. Da un lato, raccogliere informazioni esaustive per creare una sorta di “diario totale” individuale; dall’altro, utilizzare questi dati per addestrare algoritmi capaci di comprendere, prevedere e riprodurre il comportamento umano. Secondo il progetto, l’essere umano poteva essere “replicato” a partire da un flusso continuo di dati: complesse reti di memoria, emozioni, abitudini e relazioni. Si trattava di un passo decisivo verso quella che oggi chiamiamo profilazione comportamentale automatizzata, un concetto che nel 2003 era ancora agli albori.
Secondo DARPA, queste tecnologie avrebbero potuto avere applicazioni positive in vari settori. In ambito militare, ad esempio, per supportare i soldati in missione, nella gestione dello stress, nella memorizzazione di informazioni o nella ricostruzione di eventi complessi. In ambito medico, per trattare disturbi cognitivi e traumi. E nel campo dell’intelligenza artificiale, per fornire dati utili ad addestrare macchine capaci di comprendere gli esseri umani, non solo attraverso numeri, ma attraverso le loro storie, i loro contesti, le loro relazioni. In altre parole, LifeLog, non era pensato solo per sorvegliare, ma anche per imparare.
Eppure, nonostante l’ambizione e l’apparato, nel febbraio 2004, DARPA cancellò improvvisamente il progetto, annunciando senza grandi dettagli che non avrebbe proseguito nello sviluppo. La motivazione ufficiale fu vaga: “venuto meno l’interesse, il progetto non era più una priorità.” Ma il lavoro svolto fino a quel momento era concreto e già piuttosto avanzato.
Ed è proprio a questo punto che si inserisce un elemento curioso e spesso citato dagli analisti del settore: proprio il 4 febbraio 2004, lo stesso giorno in cui DARPA ufficializzò la cancellazione di LifeLog, venne lanciata una nuova piattaforma digitale chiamata Facebook.
Inizialmente limitata agli studenti di Harvard, sembrava un semplice social network per connettere compagni di università. Ma fin da subito, Facebook ha iniziato a raccogliere un tipo di dati sorprendentemente simile a quelli previsti dal progetto LifeLog: informazioni personali, reti sociali, immagini, messaggi, preferenze, attività quotidiane, luoghi frequentati e interazioni digitali.
A differenza di LifeLog, che operava sotto un controllo militare e governativo, Facebook si è presentato come uno spazio “sociale” aperto, basato sull’adesione volontaria degli utenti. Ma la logica alla base era la stessa: costruire un archivio digitale delle vite delle persone, tracciarne i comportamenti, analizzarne le relazioni, modellarne i profili.
Non ci sono documenti ufficiali che colleghino direttamente i due progetti, eppure la coincidenza temporale e la somiglianza strutturale tra LifeLog e Facebook sono state oggetto di numerosi studi. Alcuni ricercatori vedono in Facebook come una trasformazione del paradigma di LifeLog. In questa prospettiva, si può dire che LifeLog non sia mai stato davvero cancellato. Ha semplicemente cambiato forma, diventando più sottile, più accattivante, e soprattutto, più accettabile.
Dove LifeLog suscitava preoccupazioni etiche, Facebook (e i suoi successori) hanno reso il tracciamento una routine quotidiana, mascherata da intrattenimento, connessione e personalizzazione dell’esperienza online. Le tecnologie alla base di LifeLog, raccolta dati continua, tracciamento comportamentale, analisi semantica, archiviazione cloud e profilazione, non solo sono sopravvissute, ma sono oggi pienamente operative e onnipresenti nella vita quotidiana.
I social network, i motori di ricerca, gli assistenti vocali, le piattaforme di streaming, analizzano ciò che vediamo, ascoltiamo, cerchiamo, compriamo. Tutti questi strumenti generano esattamente quel tipo di dati che LifeLog voleva raccogliere. E lo fanno su scala globale, con la partecipazione volontaria di miliardi di persone.
Oggi, il tipo di tracciamento che LifeLog prevedeva non è più una sperimentazione militare ma la logica è la stessa: creare un’immagine digitale di te, sempre più precisa, sempre più completa. Una memoria artificiale che ti segue, ti analizza e, spesso, ti anticipa.
LifeLog era il concetto pionieristico di un sistema digitale che oggi identifichiamo come capitalismo della sorveglianza, machine learning comportamentale e intelligenza artificiale predittiva. La logica che lo guida è sempre la stessa: rendere la vita umana una merce. Raccogliere ogni frammento di informazione. Analizzare ogni aspetto. Prevedere ogni mossa.
La vera domanda non è più se i social network siano semplicemente un’evoluzione di LifeLog, perchè lo sono. La domanda è: quanto del nostro presente è stato progettato con la logica di LifeLog? Quanto della nostra intimità, delle nostre emozioni, delle nostre scelte, è oggi manipolabile, tracciabile, vendibile? E soprattutto: chi detiene quel potere?
Da quel lontano 2004, quando Facebook ha iniziato a raccogliere ogni nostro gesto, ogni nostro like, ogni nostra interazione, costruendo una mappa invisibile e dettagliata delle nostre emozioni, preferenze e abitudini, ciò che era nato come uno strumento di connessione è lentamente diventato uno strumento di controllo.
Ma non è solo Facebook. È Instagram, WhatsApp, Twitter, TikTok, tutte piattaforme che, giorno dopo giorno, ci spingono a condividere sempre più della nostra vita. Eppure, nessuno si è mai chiesto chi sta davvero osservando? Chi decide come vengono utilizzati i nostri dati? E soprattutto, chi ci assicura che non vengano usati contro di noi?
La risposta sarebbe spaventosa. Quei dati raccolti sono usati per profilare i nostri comportamenti, manipolare le nostre decisioni e decidere il nostro destino. Dati che oggi servono a indirizzare il nostro voto, a vendere preferenze politiche, a modellare il nostro pensiero. Ma domani? Domani non ci chiederanno più il consenso. Saranno loro a decidere chi merita un lavoro, chi ha diritto alla salute, chi può permettersi di esistere. Un algoritmo freddo e inappellabile giudicherà ogni nostro sospiro, ogni nostro dubbio, e ci condannerà alla sottomissione. Non ci controlleranno con la forza, ma con la certezza matematica di aver già previsto ogni nostra mossa. E quando cercheremo di ribellarci, scopriremo che anche la nostra rabbia era stata calcolata, inscritta in un modello predittivo.
La prigione non avrà sbarre. Sarà costruita con i nostri stessi pensieri.
Facebook, e le piattaforme che lo seguiranno, sono il cuore pulsante di quella macchina che LifeLog aveva iniziato a immaginare. LifeLog non è mai stato cancellato, è Facebook, è Instagram, è il nostro specchio digitale. E sarà attraverso di esso che saremo controllati.
Fonti
- DARPA official archives: www.darpa.mil
- “DARPA kills LifeLog project” – Wired, 2004
- Memory and Knowledge Representation in the DARPA LifeLog Program – Technical report
- The Age of Surveillance Capitalism – Shoshana Zuboff (saggio sociologico)
- IEEE articles on pervasive computing and LifeLog-related systems
- Facebook Reality Labs & AR Glasses
- Meta Blog Ufficiale: “Introducing Project Aria” (2020)
- Gli occhiali AR di Meta registrano audio, video e dati ambientali.
- The Verge: “Meta’s AR glasses will record everything” (2022)
- Meta Blog Ufficiale: “Introducing Project Aria” (2020)
- Controversie sul tracking psicometrico
- The Guardian (2018): “Facebook ha condotto esperimenti segreti per influenzare le emozioni”
- Wall Street Journal (2021): “The Facebook Files” (sul tracciamento di adolescenti e dati sensibili).
