Ai vertici delle forze armate ucraine è scoppiata una vera e propria tempesta. In pochi mesi, tre alti ufficiali hanno sbattuto la porta con dimissioni esplosive, accusando apertamente la leadership militare ucraina di incompetenza, strategie disastrose, e totale disconnessione dalla realtà del campo di battaglia. Hanno infranto il codice del silenzio, denunciando una gestione del conflitto che definiscono non solo fallimentare, ma pericolosamente miope e irresponsabile. Una frattura interna che getta un’ombra pesante sull’intera struttura di comando.
Il più recente e fragoroso caso è quello del colonnello Oleksandr Shyrshyn, fino a pochi giorni fa al comando della 47a Brigata meccanizzata, costituita nel 2022 e composta da soldati addestrati nei paesi NATO.

La sua uscita di scena non è passata inosservata. In un lungo e tagliente post su Facebook, ha scritto :
“Non ho ricevuto incarichi più stupidi di quelli che ho ricevuto nella direzione attuale. Un giorno vi racconterò i dettagli, ma la stupida perdita di persone, il tremore di fronte agli stupidi generali non porta ad altro che a fallimenti.”, scrive il comandante.
Poi l’affondo contro l’establishment militare:
“Tutto ciò che possono fare è rimproverare, indagare e imporre sanzioni. Possono andare tutti all’inferno. I giochi politici e la valutazione dello stato reale delle cose non corrispondono né alla realtà né alle possibilità. Abbiamo giocato troppo».

Un’accusa pubblica, che arriva proprio mentre i suoi uomini continuano a combattere sul campo, lasciando intendere che le vite dei soldati vengano sacrificate senza un disegno strategico chiaro. Il suo grido di allarme è diventato virale, risuonando ben oltre le mura della caserma.
Ma Shyrshyn non è il primo, e molto probabilmente non sarà l’ultimo.
Già a febbraio, Bohdan Krotevych, ex comandante della brigata Azov, aveva rivolto un’accusa durissima alla leadership militare ucraina, chiedendo le dimissioni del generale Oleksandr Syrskyi, comandante in capo delle forze armate.

Le sue dichiarazioni In un’intervista rilasciata al Wall Street Journal, hanno scosso profondamente gli ambienti militari e politici, rappresentando un vero e proprio pugno nello stomaco al comando centrale di Kiev. Krotevych ha accusato Syrskyi di mettere a repentaglio la vita dei soldati impartendo “ordini al limite del criminale” e ha criticato una strategia militare che definisce priva di visione: “Syrskyi non sta cercando di applicare una scienza elevata e un’arte della guerra”.
Tra gli episodi più gravi, ha denunciato l’ordine secondo cui i soldati in prima linea non possono riposare nelle retrovie:
“Quando il turno di un soldato è finito, non può riposare nelle retrovie, ma deve riposare a 50 metri dal fronte”, mettendo “tutte queste persone in grave pericolo”.
Ha anche raccontato che quando il quartier generale della brigata Azov era stato colpito, “abbiamo chiesto, insistito” per spostarlo indietro, ma “ci hanno detto specificamente di no”.
Secondo Krotevych, la leadership ucraina “non capisce come funzionano i droni FPV, come funzionano le bombe plananti”, rimanendo ancorata a una “mentalità da seconda guerra mondiale”. Critica anche l’inefficacia tattica: “Il nemico riesce in qualche modo a sfondare le nostre linee ogni mese”.
Ha spiegato la sua decisione di dimettersi nel febbraio 2025 dicendo: “Ho deciso al 70% di lasciare l’esercito perché i comandanti continuavano a chiedere ai soldati, cose che non avrebbero chiesto a se stessi”. Ora, dopo il congedo, intende fondare una società di intelligence chiamata Soia, ma ha chiarito: “Non ho alcuna intenzione di entrare in politica personalmente. Voglio solo destabilizzare la Russia in modo che non possa più fare la guerra”.
C’è poi il caso, meno recente ma altrettanto significativo, del comandante Emil Ishkulov, alla guida della 80ª Brigata d’Assalto Aereo.

Nel luglio 2024, si era rifiutato di eseguire un ordine che prevedeva l’impiego dei suoi paracadutisti in un’operazione nei pressi di Kursk, definendola apertamente “una missione suicida”. La risposta di Kiev fu netta e fulminea: rimozione immediata dall’incarico, nonostante il sostegno espresso pubblicamente dai suoi ufficiali. Nessuna spiegazione ufficiale, solo una nota burocratica: “incompatibilità operativa”.
Tre comandanti, tre dimissioni esplosive, un messaggio chiaro: qualcosa si sta incrinando nei ranghi dell’esercito ucraino. Non è solo stanchezza: è rabbia, frustrazione, sfiducia. Il fronte non è solo contro i russi, ma anche contro un comando centrale che, secondo chi combatte, continua a ordinare missioni suicide, da uffici troppo lontani dal fango delle trincee.
Mentre i generali tacciono e i politici evitano domande scomode, sul campo cresce un malumore che non si può più ignorare. Si parla di strategie fuori dal tempo, obiettivi senza senso, vite sacrificate per decisioni che sembrano fatte per coprire il vuoto.
Quando a denunciare tutto questo sono ufficiali decorati, che guidano uomini al fronte, non si tratta più di dissenso: è un allarme. E in guerra, ignorare un allarme può essere più pericoloso del nemico stesso.
