Nel giugno del 2000, la prestigiosa rivista medica British Medical Journal (BMJ) pubblicò un articolo sorprendente firmato dalla giornalista Judy Siegel-Itzkovich, intitolato “Doctors’ strike in Israel may be good for health” (“Lo sciopero dei medici in Israele potrebbe essere positivo per la salute”).
L’articolo, apparso il 10 giugno, riportava un fenomeno inaspettato: durante uno sciopero sindacale dei medici negli ospedali pubblici israeliani, il tasso di mortalità nel paese era diminuito in modo significativo. Un dato che, a prima vista, sembra contraddire ogni logica, e che ha aperto un dibattito sulle dinamiche della sanità e sull’impatto delle cure mediche.
Tutto ebbe inizio il 9 marzo 2000, quando l’Associazione Medica Israeliana (IMA) avviò una protesta contro il governo, opponendosi a un nuovo contratto salariale di quattro anni proposto dal Ministero del Tesoro. I medici degli ospedali pubblici, che forniscono la stragrande maggioranza delle cure di secondo e terzo livello in Israele, iniziarono una serie di scioperi: centinaia di migliaia di visite ambulatoriali furono cancellate o rinviate, insieme a decine di migliaia di interventi chirurgici non urgenti. Tuttavia, i pronto soccorso, i reparti di dialisi, oncologia, ostetricia e neonatologia rimasero operativi, garantendo i servizi essenziali.
In assenza di statistiche ufficiali, il quotidiano Jerusalem Post condusse un’indagine informale intervistando le società di sepoltura ebraiche senza scopo di lucro, responsabili della maggior parte dei funerali in Israele. I risultati furono sbalorditivi. “Il numero di funerali che abbiamo celebrato è diminuito drasticamente” ha detto Hananya Shahor, direttore della società Kehilat Yerushalayim di Gerusalemme, “Questo mese abbiamo svolto solo 93 sepolture, contro le 153 di maggio 1999, le 133 di maggio 1998 e le 139 di maggio 1997”.
Lo scorso aprile, ci sono stati solo 130 decessi rispetto ai 150 o più degli aprile precedenti. “Non riesco a spiegare perché”, ammise Shahor.
Meir Adler, responsabile della Shamgar Funeral Parlour, sempre a Gerusalemme, fu più netto: “C’è sicuramente una connessione tra lo sciopero dei dottori e il minor numero di decessi. Abbiamo visto la stessa cosa nel 1983”, quando un altro sciopero medico durò quattro mesi e mezzo.
Anche a Tel Aviv, Motti Yeshuvayov della locale società di sepoltura confermò la tendenza negli ultimi due mesi. L’unica eccezione si registrò nell’area di Haifa, mentre a Netanya, dove i medici dell’unico ospedale locale non partecipavano allo sciopero per via di una clausola contrattuale, i numeri dei funerali restavano stabili rispetto agli anni precedenti.
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Ma come si spiega questo paradosso? Avi Yisraeli, direttore generale dell’Organizzazione Medica Hadassah, che gestisce due ospedali universitari a Gerusalemme, suggerì una possibile interpretazione: “La mortalità non è l’unico indicatore di danno alla salute. La mancanza di interventi medici può causare disabilità, dolore o un peggioramento delle funzioni, ma gli interventi elettivi, pur migliorando la qualità della vita, comportano rischi, soprattutto per i pazienti più fragili”. Durante lo sciopero, molti pazienti si erano rivolti ai medici di famiglia o ai pronto soccorso, che non erano stati toccati dagli scioperi, evitando forse procedure più invasive.
Il fenomeno sollevò una domanda profonda: come è possibile che meno interventi medici significano meno morti? L’articolo del BMJ non fornisce una risposta definitiva, ma offre uno spunto di riflessione su come la medicina, a volte, possa essere tanto un’ancora di salvezza quanto una fonte di pericolo. Un caso che, ancora oggi, invita a guardare alla salute con occhi nuovi.
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Interessante studio che mette in discussione le nostre aspettative sulla medicina!