Le prove di poliomielite nel passato sono scarse. Ma in tempi diversi compaiono registrazioni di malattie simili alla poliomielite. Nel suo Trattato sulle malattie dei bambini del 1789 il pediatra londinese Michael Underwood scrive di una malattia infantile, forse la poliomielite, che è una “debolezza degli arti inferiori”.
La malattia porta il nome “malattia di Heine-Medin”, Jakob Heine è indicato come lo scopritore è il primo a descrivere questa malattia insidiosa. Il suo merito è di aver registrato i sintomi della malattia con precisione e soprattutto di aver sviluppato e applicato metodi di trattamento efficaci per la paralisi. La seconda parte del nome ricorda il medico svedese Karl Oscar Medin, che scoprì e descrisse la natura contagiosa della malattia nel 1890. Anche Jakob Heine ipotizza che la malattia possa essere trasmessa per contagio, ma a causa dell’esiguo numero di casi non ci furono prove definitive.
I focolai noti in tutto il mondo durante tutto il 1800 non hanno registrato più di 30 casi, come si può vedere nella tabella, tratta da Smallman-Raynor & Cliff (2006).
Ai primi del 1900 la malattia iniziava ad essere più comune rispetto ai tempi di Jakob Heine. Nella penisola scandinava scoppia un’epidemia di poliomielite in cui furono segnalati 1.031 casi.
Perché abbiamo assistito a focolai di poliomielite così grandi solo nel 20° secolo?
IL PARADOSSO IGIENICO
La risposta, ancora una volta, sta negli standard igienici. Poiché la poliomielite viene trasmessa per via oro-fecale, la mancanza di servizi igienici con sciacquone e la mancanza di acqua potabile sicura hanno fatto sì che i bambini in passato fossero solitamente esposti al poliovirus già prima del loro primo compleanno. In così giovane età, i bambini beneficiano ancora di un’immunità passiva che viene trasmessa dalle loro madri sotto forma di anticorpi. Queste sono proteine che identificano il poliovirus come qualcosa di estraneo e quindi segnalano all’organismo che dovrebbero essere eliminate (fatto dagli anticorpi stessi o da diverse cellule chiamate macrofagi). In tal modo, praticamente tutti i bambini contraevano il poliovirus in tenera età. Pur protetto dallo sviluppo della malattia grazie agli anticorpi materni, i loro corpi avrebbero prodotto le proprie cellule di memoria in risposta al virus e ciò avrebbe assicurato un’immunità a lungo termine contro la poliomielite. Quest’ultimo è importante in quanto le cellule della madre hanno un’emivita di soli 30 giorni (a partire dall’ultimo giorno di allattamento).
Con il miglioramento degli standard igienici, l’età in cui i bambini sono stati esposti per la prima volta al poliovirus è aumentata e ciò significava che gli anticorpi materni non erano più presenti per proteggere i bambini dalla polio.
Che il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie sia stato un fattore trainante nei focolai di poliomielite è anche illustrato dal fatto che l’età in cui è stata contratta la poliomielite è aumentata nel tempo. Durante cinque epidemie americane nel periodo 1907-1912, la maggior parte dei casi segnalati si è verificata in bambini di età compresa tra 1 e 5 anni, mentre durante gli anni ’50 l’età media di contrazione era di 6 anni con “una percentuale sostanziale di casi che si sono verificati tra adolescenti e giovani adulti”.
Essere esposti al poliovirus dopo aver perso la protezione dagli anticorpi materni significava avere maggiori probabilità di contrarre la poliomielite, con un conseguente aumento del numero di casi e di decessi.
… i virus non si possono isolare , si ci abbiamo provato con l HIV ma non ci siamo riusciti, perché si rompono sempre e poi ci sono sempre queste vescicole extracellulari, ( esosomi, che poi sarebbero i virus). Luc montagnier 2009
Stiamo diventando una società di dementi ipocondriaci, con la paura di contagiarci anche quando andiamo a letto da soli.
L’igiene è una cosa, la follia un’altra cosa.
Quando ero bambino, le nostre mamme ci redarguivano con “ti sei lavato le mani!?”, ogni qualvolta ci accingevamo a toccare del cibo, ma poi basta, la cosa finiva lì. Per il resto eravamo liberi di interagire con gli altri ed il mondo, e se arrivava qualche scappellotto, era più perché avrebbero poi dovuto lavare i nostri vestiti imbrattati.
Oggi mi sembra di vivere in un mondo schizofrenico, dove da una parte si persegue un’igiene assoluta e dall’altra non se ne rispetta neanche i principi cardine.
Per igiene infatti non si deve intendere solo la pulizia di sé e dell’ambiente in cui si vive, ma anche tutte le norme mirate a garantire o migliorare il nostro stato di salute fisico e psichico.
Emblematico (e quindi per niente isolato) è l’episodio a cui assistetti ad agosto dell’anno scorso: caldo canicolare, in una grande piazza scarsamente affollata, una madre che affannosamente camminava seguita a stento dai propri due figli ansimanti, completamente imbavagliati da inutili mascherine, che strabuzzavano i loro occhi per mancanza d’ossigeno.
Mi sarei messo ad urlare per la demenzialità a cui ero costretto ad assistere.
Devo essere sincero, se persone del genere soccombessero alla naturale evoluzione della specie, la riterrei una cosa giusta.
Ma purtroppo, credo invece che saranno altri (me compreso) a soccombere all’involuzione della razza umana in atto.
I virus fanno parte del nostro ecosistema, molte volte sono utili, anzi indispensabili, per la vita ed altre invece deleteri. Abbiamo sviluppato il nostro sistema immunitario proprio per questo e, solo in casi estremi, possiamo anche cercare di intervenire per dargli una mano, nella speranza di non combinare ulteriori casini.
Sempre però nell’ottica che errori in buonafede sono accettabili, quelli in malafede invece NO!
In quali casi sono deleteri ?
La maggior parte dei virus sono innocui o utili per l’uomo (ad esempio uccidono i batteri e quindi possono aiutare a combattere le infezioni), poi ce n’è una minima parte, circa l’1% , che invece provoca danni all’organismo umano od anche la morte.
I virus sono alla base della biodiversità e quindi anche dell’evoluzione, ma non sempre queste coincidono con il nostro benessere.
In questi casi per l’uomo sono deleteri.
È lo stesso discorso degli insetti, togli l’ape ed il mondo, perlomeno come lo conosciamo, finirebbe, togli la zanzara e magari si vivrebbe meglio (giusto per esemplificare).