L’Operazione Jabalia, avviata il 5 ottobre 2024, fa parte di una campagna militare israeliana su larga scala nella Striscia di Gaza, concentrandosi sulla distruzione delle presunte infrastrutture militari del gruppo nel campo profughi di Jabalia, situato nel nord di Gaza.
Questo intervento ha combinato bombardamenti aerei intensivi e un’offensiva terrestre, con l’uso di truppe corazzate e incursioni mirate nei densi quartieri del campo, in un contesto estremamente popolato che ha alzato ulteriormente il numero dei morti tra la popolazione civile.
Fin dall’inizio dell’operazione, l’IDF ha invitato i residenti locali a evacuare l’area. Tuttavia, evacuare Jabalia, come molte altre aree di Gaza, risulta difficile, poiché Gaza rimane assediata e con vie di fuga estremamente limitate. Le segnalazioni indicano che il conflitto rende quasi impossibile l’uscita sicura per molti civili, aggravando la situazione umanitaria. In pochi giorni dall’inizio dell’offensiva, il numero delle vittime ha raggiunto livelli drammatici: secondo fonti locali, oltre 770 persone sono state uccise e circa 1.000 ferite, inclusi numerosi civili e bambini, poiché gli attacchi si concentrano su una delle aree più densamente abitate di Gaza. Le forze israeliane affermano di mirare a infrastrutture e nascondigli di Hamas all’interno del campo, ma la presenza di strutture militari in aree civili solleva enormi dubbi sulla proporzionalità degli attacchi e sulla protezione dei civili.
L’operazione si è intensificata nelle settimane successive, e le vittime civili continuano a crescere in maniera significativa. In un attacco particolarmente letale del 31 ottobre, un pesante bombardamento ha colpito un edificio densamente abitato, provocando circa 100 vittime e lasciando molte persone intrappolate sotto le macerie, con gravi difficoltà per le squadre di soccorso.
Le condizioni di soccorso sono ostacolate sia dal conflitto in corso sia dalla scarsità di risorse e dalla crisi sanitaria in cui versa Gaza. L’incremento delle vittime civili e l’elevato costo umano dell’operazione hanno suscitato forti critiche da parte di gruppi internazionali per i diritti umani, che denunciano la violazione delle leggi internazionali sulla protezione dei civili in zone di guerra.
Per quanto riguarda l’esercito israeliano, le perdite sono state meno dettagliate, ma si segnalano alcuni soldati feriti e morti. Un episodio in particolare si è verificato il 2 novembre, quando un veicolo corazzato israeliano è stato colpito da una granata, causando un’esplosione che ha ucciso 19 soldati israeliani. Questo attacco è avvenuto mentre le truppe israeliane cercavano di demolire edifici densamente popolati dove presumevano ci fossero militanti di Hamas.
La morte di quei soldati viene onorata, come si vede nei video, con un funerale in lacrime, ma nessuna pietà viene riservata alle migliaia di vittime innocenti rimaste uccise o ferite nell’operazione di Jabalia. Le vite dei civili non contano; sono solo numeri, vittime sacrificali per uno scopo bellico privo di umanità.
Questa doppia moralità, che emerge in modo drammatico in questo conflitto, si manifesta nel contrasto tra il lutto per i soldati israeliani morti e l’indifferenza verso la sofferenza e la morte dei civili palestinesi. Mentre la morte di un soldato israeliano è celebrata come una tragedia nazionale, degna di lutto, commemorazione e rispetto, quella di un civile palestinese — che sia un uomo, una donna o un bambino — è trattata con totale disprezzo, come un danno collaterale accettabile e irrilevante. Questo comportamento evidenzia la disumanizzazione della popolazione sotto occupazione, vista come un gruppo la cui vita ha valore solo se coincide con gli interessi di Israele. La guerra diventa un’occasione per giustificare misure estreme contro coloro che sono ritenuti “nemici”, come se la loro vita valesse meno di quella di un animale.
Un esempio lampante di questa logica è il controverso commento di Yoav Gallant, all’epoca ministro della Difesa israeliano, che durante l’escalation del conflitto Israele-Hamas nel 2023 ha descritto i palestinesi come “animali umani”. Queste parole, estremamente deumanizzanti, sono state usate per giustificare azioni militari brutali, tra cui l’interruzione totale di forniture essenziali come elettricità, acqua, carburante e cibo, dirette a Gaza, una popolazione già messa a dura prova da decenni di violenze.
Queste dichiarazioni rivelano come una parte della leadership israeliana consideri la vita dei palestinesi come bestie, trattandoli come quella di esseri inferiori, per cui non c’è spazio per la compassione, la considerazione o il rispetto umano. In un contesto del genere, la sofferenza palestinese viene ignorata, ridotta a una mera conseguenza della guerra, mentre la sofferenza israeliana viene enfatizzata come qualcosa di insopportabile, esemplificando la disparità morale che permea la retorica e la politica di Israele.
Itta lastima (che peccato), solo 19, speravo 19 seguito da tre zeri….