L’Albania sta scomparendo. Silenziosamente, ma inesorabilmente.
In poco più di tre decenni, dal 1989 a oggi, l’Albania ha perso quasi 1 milione di abitanti. Una cifra sconvolgente per un Paese che contava 3,3 milioni di persone alla vigilia del crollo del regime comunista e che oggi, nel 2025, sfiora appena i 2,4 milioni, secondo le ultime stime.
Un declino del 27% della popolazione in 35 anni. Nessun altro Stato europeo ha subito una contrazione così drastica, così lunga, così profonda. Un primato triste, che pesa come un macigno sul futuro del Paese.
Dietro queste cifre fredde si cela una tragedia silenziosa: famiglie spezzate, villaggi svuotati, scuole chiuse per mancanza di studenti, ospedali senza medici, città invecchiate e prive di slancio. Il cuore pulsante dell’Albania, la sua gente, sta lentamente smettendo di battere.
Non è solo questione di crollo delle natalità, passata da oltre 3 figli per donna nel 1990 a 1,3 nel 2023, ma di un vero e proprio esodo di massa, continuo e doloroso. Milioni di giovani, operai, laureati, famiglie intere hanno preso la strada verso l’estero: Italia, Grecia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti. In cerca di lavoro, di diritti, di speranza. Fuggono dalla disoccupazione, dalla corruzione, dalla mancanza di prospettive. Fuggono da un Paese che, nonostante le promesse e le riforme, non riesce a trattenere i propri figli.
Il censimento nazionale del 2023 ha restituito un quadro ancora più impietoso, evidenziando un’accelerazione del declino: negli ultimi 13 anni, la popolazione albanese è passata da 2,82 milioni nel 2011 a appena 2,4 milioni nel 2023. Un calo vertiginoso, che dimostra come, dopo decenni di lenta erosione, l’esodo e la denatalità abbiano subito una brusca impennata, aggravando in modo drammatico la crisi demografica del Paese.
Eppure, molti esperti ritengono che la situazione reale sia persino più grave. Secondo diverse stime, il numero effettivo di abitanti potrebbe risultare ben al di sotto delle statistiche ufficiali, perché migliaia di albanesi emigrati continuano a figurare come residenti, pur avendo ormai costruito altrove la propria vita.
«Abbiamo villaggi interi dove vivono solo anziani e cani randagi», racconta un sindaco della regione di Kukës. «Le scuole sono sbarrate. Le case vuote. È come vivere in un cimitero».
L’Albania non è sola in questa lenta agonia demografica. Anche Bulgaria (–12,3%), Macedonia del Nord (–11,4%), Bosnia (–11,2%), Croazia, Lettonia, Serbia e gran parte dell’Europa orientale stanno perdendo la loro popolazione. Ma nessuno come Tirana, che guida la triste classifica del calo percentuale nell’arco degli ultimi decenni.
Mentre l’Europa occidentale combatte soprattutto contro la denatalità, l’est si trova a lottare anche contro la fuga dei propri cittadini. E questa battaglia, almeno finora, sembra irrimediabilmente persa.
Il declino demografico non è solo una questione statistica. È un problema di sopravvivenza nazionale. Meno lavoratori significa meno economia, meno contributi per pensioni e sanità, meno giovani capaci di innovare. Una popolazione più piccola significa meno voce sul piano geopolitico.
L’Albania, un tempo terra di una gioventù vivace e piena di sogni, oggi rischia di diventare un guscio vuoto, lasciato indietro proprio da chi avrebbe potuto costruirne il futuro.
