Muammar Gheddafi, spesso definito l’“ultimo Re dell’Africa”, è stato una figura controversa e carismatica, amata da molti africani per il suo impegno verso l’unità e l’emancipazione del continente, ma odiata dalle potenze occidentali per la sua sfida al loro dominio economico e politico. La sua uccisione nel 2011, durante la guerra in Libia, non fu la fine di un dittatore, ma l’eliminazione di un leader che aveva osato sfidare il sistema globale, proponendo un’alternativa per l’Africa.
Questo articolo esplora i veri motivi per cui l’Occidente ha deciso di eliminare Gheddafi, andando oltre la retorica della “democrazia” e dei “diritti umani” utilizzata per giustificare l’intervento militare.
Attraverso il lancio del primo satellite africano, RASCOM-1, e il suo ambizioso progetto finanziario panafricano, Gheddafi aveva messo in discussione il controllo occidentale sulle telecomunicazioni, sulle risorse naturali e sul sistema monetario del continente. La creazione di una Banca Centrale Africana, di un Fondo Monetario Africano e di una moneta unica basata sull’oro rappresentavano una minaccia diretta agli interessi della Francia, degli Stati Uniti e delle istituzioni finanziarie globali.
La storia di Gheddafi e della Libia è quindi una storia di resistenza, ma anche di repressione. È la storia di come l’Occidente abbia agito per preservare il proprio potere, anche a costo di soffocare le aspirazioni di un intero continente. Attraverso questo articolo, scopriremo perché Gheddafi è stato considerato così pericoloso e come i suoi piani per l’Africa avrebbero potuto cambiare il corso della storia.
Muammar Gheddafi non era solo il leader della Libia. Era un simbolo, un rivoluzionario, un sognatore che osava immaginare un’Africa libera dalle catene del neocolonialismo. Per molti africani, era l’“ultimo Re dell’Africa”, un uomo che aveva sfidato l’ordine mondiale dominato dall’Occidente. Ma proprio per questo, Gheddafi è diventato un bersaglio. La sua morte nel 2011 non fu un incidente di percorso: fu un’esecuzione politica, orchestrata per fermare un progetto che avrebbe potuto cambiare il destino di un intero continente.
Il satellite africano RASCOM-1
Fu la Libia di Muammar Gheddafi a offrire all’Africa la sua prima vera rivoluzione tecnologica dei tempi moderni. Grazie al lancio del satellite RASCOM-1, il continente africano riuscì a garantire una copertura universale per telefonia, televisione, radio e servizi essenziali come la telemedicina e l’istruzione a distanza. Per la prima volta, una connessione a basso costo diventava accessibile anche nelle zone rurali più remote, grazie al sistema del ponte radio WMAX. Questa non fu solo una vittoria tecnologica, ma anche un atto di emancipazione dal dominio economico e tecnologico dell’Occidente.
La storia di questa rivoluzione inizia nel 1992, quando 45 Paesi africani si unirono per creare la RASCOM (Regional African Satellite Communication Organization). L’obiettivo era chiaro: dotare l’Africa di un satellite proprio per ridurre i costi di comunicazione e rompere la dipendenza dai satelliti europei come Intelsat.
A quel tempo, le chiamate telefoniche da e verso l’Africa erano tra le più costose al mondo. Questo perché l’Europa imponeva una tassa di 500 milioni di dollari all’anno per l’uso dei suoi satelliti, anche per le comunicazioni interne tra Paesi africani. Un sistema che perpetuava il controllo economico e tecnologico del continente.
Il progetto di un satellite africano aveva un costo stimato di 400 milioni di dollari, una cifra irrisoria rispetto ai 500 milioni di dollari all’anno che l’Africa pagava all’Europa. Tuttavia, nonostante l’evidente convenienza economica, le istituzioni finanziarie occidentali, tra cui la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), gli Stati Uniti e l’Unione Europea, rifiutarono di finanziare il progetto.
La domanda che pose Gheddafi ai paesi africani fu: “Come può lo schiavo liberarsi dal padrone se chiede aiuto proprio a quest’ultimo?”. Per 14 anni, l’Africa cercò invano di ottenere il sostegno delle potenze occidentali, ma senza successo. Le istituzioni finanziarie globali, che avrebbero dovuto sostenere lo sviluppo, preferirono mantenere lo status quo, garantendo i profitti delle compagnie europee.
Nel 2006, Gheddafi decise di intervenire e di porre fine a questa situazione di stallo. La Libia investì 300 milioni di dollari, a cui si aggiunsero 50 milioni dalla Banca di Sviluppo Africana e 27 milioni dalla Banca per lo Sviluppo dell’Africa Occidentale. Grazie a questo sforzo congiunto, il 26 dicembre 2007, l’Africa lanciò il suo primo satellite per telecomunicazioni, il RASCOM-1.
Questo satellite rivoluzionò le comunicazioni africane, garantendo una copertura universale a basso costo, anche nelle zone rurali più remote. Per la prima volta, l’Africa poteva contare su una infrastruttura tecnologica autonoma, senza dover pagare tributi all’Occidente.
Il lancio di RASCOM-1 non fu solo una vittoria tecnologica, ma anche un duro colpo per gli interessi economici occidentali. La Libia di Gheddafi privò l’Europa di 500 milioni di dollari all’anno di profitti derivanti dalle tasse sui satelliti. Inoltre, il progetto dimostrò che l’Africa poteva emanciparsi dal sistema di debito e dipendenza imposto dal FMI e dalla Banca Mondiale.
La moneta africana: la minaccia definitiva
Gheddafi non si accontentò di rivoluzionare le telecomunicazioni. Il suo obiettivo era ancora più ambizioso: creare un sistema finanziario africano indipendente. Al centro di questo progetto c’erano tre istituzioni:
- La Banca Centrale Africana (ACB), con sede ad Abuja, in Nigeria, che avrebbe emesso una moneta unica africana basata sull’oro libico e sulle riserve africane. Questa moneta avrebbe sostituito il franco CFA, lo strumento con cui la Francia controllava 14 economie africane da oltre 50 anni.
- La Banca di Investimenti Africana (AIB), con sede a Sirte, in Libia, che avrebbe finanziato infrastrutture e progetti strategici senza ricorrere ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale (FMI) o della Banca Mondiale.
- Il Fondo Monetario Africano (AMF), con sede a Yaoundé, in Camerun, che avrebbe sostituito il FMI in Africa, offrendo prestiti a basso interesse e proteggendo gli Stati africani dalle speculazioni occidentali.
Questo sistema avrebbe significato la fine del dominio economico dell’Occidente sull’Africa. Non a caso, le email rivelate da Hillary Clinton tramite WikiLeaks mostrano come gli Stati Uniti e la NATO vedessero il progetto di Gheddafi come una minaccia esistenziale.
Gli interessi dell’Italia: petrolio e migrazioni
Nel 2008, l’Italia e la Libia firmarono un accordo storico: l’Accordo di amicizia, partenariato e cooperazione. Questo patto, siglato da Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi, rappresentò un punto di svolta nei rapporti tra i due Paesi, segnando una nuova era di collaborazione economica e politica. Tuttavia, dietro ai sorrisi e alle strette di mano, c’erano interessi strategici profondi, legati soprattutto alle risorse energetiche e alla gestione dei flussi migratori.
Uno degli aspetti più significativi dell’accordo fu il risarcimento per i danni del periodo coloniale. L’Italia si impegnò a versare 5 miliardi di dollari alla Libia, da utilizzare per progetti di sviluppo infrastrutturale, sanitario e educativo. Questo risarcimento, suddiviso in rate annuali, rappresentò un gesto simbolico di riconciliazione per i crimini commessi durante l’occupazione italiana della Libia (1911-1943), tra cui massacri, deportazioni e l’imposizione di un regime coloniale oppressivo.
Per Gheddafi, questo accordo fu una vittoria politica e morale. Non solo ottenne un riconoscimento formale delle sofferenze inflitte alla Libia, ma riuscì anche a garantire risorse economiche per lo sviluppo del Paese. Per l’Italia, invece, fu un modo per chiudere un capitolo doloroso della sua storia e rafforzare i legami con un partner strategico.
Oltre al risarcimento, l’accordo del 2008 aveva un altro obiettivo chiave: garantire all’Italia l’accesso alle risorse energetiche libiche. La Libia, con le sue immense riserve di petrolio e gas, rappresentava un partner fondamentale per l’approvvigionamento energetico italiano. L’ENI, già attiva in Libia da decenni, ne trasse vantaggio, ottenendo nuovi contratti e accordi per l’esplorazione e la produzione di idrocarburi.
Grazie all’accordo, l’ENI consolidò la sua posizione in Libia, diventando uno dei principali attori nel settore energetico del Paese. Questo permise all’Italia di diversificare le sue fonti di approvvigionamento e ridurre la dipendenza da altri fornitori, come la Russia. Per Gheddafi, invece, la collaborazione con l’ENI rappresentò un’opportunità per modernizzare l’industria energetica libica e aumentare le entrate statali.
Inoltre, Gheddafi aveva un ruolo chiave nel controllo dei flussi migratori dall’Africa verso l’Europa. Grazie a un accordo con l’Italia, la Libia bloccava i migranti africani in cambio di aiuti economici. Con la caduta di Gheddafi, questo accordo è saltato, contribuendo alla crisi migratoria che ha investito l’Europa negli anni successivi.
Gli interessi della Francia: il controllo sul franco CFA
La Francia aveva (e ha ancora) un interesse particolare nel mantenere il controllo sull’Africa attraverso il franco CFA, una valuta coloniale utilizzata da 14 Paesi africani. Questo sistema garantisce alla Francia l’accesso privilegiato alle risorse naturali dell’Africa occidentale e un controllo quasi assoluto sulle economie locali. Gheddafi, con la sua proposta di una moneta unica africana, minacciava di distruggere questo sistema.
Il franco CFA è un’eredità del colonialismo: i Paesi che lo utilizzano devono depositare il 50% delle loro riserve monetarie presso la Banca di Francia, privandosi della possibilità di gestire autonomamente la propria politica monetaria. Gheddafi voleva porre fine a questa dipendenza, e per la Francia questo era inaccettabile.
Gli interessi degli Stati Uniti
Gli Stati Uniti, da parte loro, avevano motivi ulteriori per volere Gheddafi fuori dai giochi. La Libia non solo possedeva enormi riserve di petrolio, ma Gheddafi aveva anche nazionalizzato l’industria petrolifera, escludendo le compagnie occidentali. Questo rappresentava una minaccia diretta agli interessi delle major petrolifere statunitensi, che da decenni traevano profitti dalle risorse africane.
Inoltre, Gheddafi stava diventando un punto di riferimento per i movimenti anti-imperialisti in tutto il mondo. La sua proposta di una moneta panafricana e di un’Africa unita e indipendente rischiava di ispirare altri Paesi a ribellarsi al dominio occidentale. Per gli Stati Uniti, che basano gran parte del loro potere sul controllo delle risorse globali e sul sistema finanziario internazionale, questo era inaccettabile.
Gli interessi dell’élite finanziaria globale
Il progetto di Gheddafi non minacciava solo la Francia o gli Stati Uniti, ma l’intera élite finanziaria globale. Una moneta africana basata sull’oro avrebbe destabilizzato il sistema monetario internazionale, fondato sul dollaro statunitense come valuta di riserva mondiale. L’oro libico, accumulato da Gheddafi per sostenere la nuova moneta, rappresentava una minaccia diretta al controllo delle banche centrali e delle istituzioni finanziarie occidentali.
Inoltre, il Fondo Monetario Africano (AMF) avrebbe privato il FMI del suo potere in Africa. Il FMI, insieme alla Banca Mondiale, ha per decenni imposto politiche di austerity e privatizzazioni ai Paesi africani, costringendoli a indebitarsi e a cedere il controllo delle loro risorse. Con l’AMF, gli Stati africani avrebbero avuto accesso a prestiti a basso interesse senza condizioni punitive, minando il ruolo del FMI come strumento di controllo neocoloniale.
Perché Gheddafi doveva essere fermato?
I motivi per cui l’Occidente ha deciso di eliminare Gheddafi sono chiari e documentati. Ecco i principali:
- La fine del franco CFA: La Francia rischiava di perdere il controllo sulle economie africane legate al franco CFA, una valuta coloniale che garantiva a Parigi l’accesso privilegiato alle risorse naturali dell’Africa occidentale.
- La crisi del dollaro e dell’euro: Una moneta africana basata sull’oro avrebbe minacciato il predominio del dollaro e dell’euro nel sistema finanziario globale.
- Il declino del FMI e della Banca Mondiale: Con un Fondo Monetario Africano operativo, gli Stati africani non avrebbero più avuto bisogno dei prestiti del FMI, che impongono condizioni draconiane come privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica.
- Il petrolio libico: La Libia possiede le più grandi riserve di petrolio in Africa, e Gheddafi aveva nazionalizzato l’industria petrolifera, escludendo le compagnie occidentali.
- L’influenza francese in Africa: Gheddafi stava diventando un leader carismatico per molti Paesi africani, minacciando l’influenza della Francia nel continente.
La guerra in Libia: esportazione della “democrazia”?
Nel 2011, sotto la guida della Francia di Nicolas Sarkozy e con il sostegno degli Stati Uniti e della NATO, l’occidente attaccò la Libia. La retorica ufficiale parlava di “proteggere i civili” e “promuovere la democrazia”, ma i veri obiettivi erano altri. Secondo un memorandum rivelato da David Ignatius del Washington Post, Sarkozy aveva cinque motivi per attaccare Gheddafi:
- Accedere al petrolio libico.
- Aumentare l’influenza francese in Nord Africa.
- Migliorare la sua popolarità interna.
- Rafforzare l’esercito francese.
- Fermare i piani di Gheddafi per una valuta panafricana.
Su quest’ultimo punto, il memorandum menziona l’esistenza del tesoro di Gheddafi, 143 tonnellate d’oro e quasi altrettanto di argento, trasferite da Tripoli a Sabha nel sud della Libia, una quindicina di giorni dopo l’avvio dell’operazione militare. “Quest’oro fu accumulato allo scopo di creare una valuta panafricana supportata dal dinaro d’oro libico. Questo piano doveva fornire ai Paesi africani francofoni l’alternativa al franco CFA“. (cfr. PanAfrican-20-5-2016)
Gheddafi fu catturato e ucciso nell’ottobre 2011, e con lui morì anche il sogno di un’Africa unita e indipendente. Il suo tesoro di 143 tonnellate d’oro, accumulato per sostenere la nuova moneta africana, fu saccheggiato.

Nel 2011, durante l’intervento militare in Libia guidato dalla NATO, gli Stati Uniti sequestrarono circa 30 miliardi di dollari appartenenti alla Banca Centrale Libica. Questi fondi erano destinati a tre grandi progetti voluti da Mu’ammar Gheddafi per rafforzare l’indipendenza economica dell’Africa e ridurre la dipendenza dal sistema finanziario occidentale.
Il congelamento dei fondi libici ha bloccato il finanziamento di questi progetti, ostacolando le ambizioni di un’Africa più autonoma sul piano economico. Alcuni analisti ritengono che uno dei motivi dell’intervento occidentale in Libia fosse proprio quello di fermare la nascita di un sistema finanziario africano indipendente, che avrebbe minacciato gli equilibri globali dominati da dollaro ed euro.
Oggi, a più di un decennio dalla caduta di Gheddafi, quei fondi restano al centro di dispute e incertezze sul loro utilizzo, mentre l’Africa continua a cercare vie per emanciparsi dal controllo finanziario delle grandi potenze.
L’eliminazione di Muammar Gheddafi
Muammar Gheddafi è stato l’unico capo di Stato africano disposto a sfidare apertamente l’Occidente, proponendo un’alternativa concreta per l’emancipazione del continente. La sua eliminazione non fu un atto di giustizia, ma un’operazione per preservare il dominio economico e politico dell’Occidente sull’Africa.
Oggi, mentre l’Africa continua a lottare per la sua vera indipendenza, la storia di Gheddafi e del suo progetto rimane un monito: chi osa sfidare il sistema globale paga un prezzo altissimo. Ma è anche un’ispirazione: perché dimostra che un’Africa unita e libera non è un’utopia, ma una possibilità che qualcuno, un giorno, potrebbe realizzare.
L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy è stato condannato per corruzione e traffico di influenze. Il 18 dicembre 2024, la Corte di Cassazione francese ha confermato in via definitiva la sua condanna a tre anni di reclusione, di cui due con la condizionale e uno da scontare agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
Questa sentenza storica rappresenta la prima volta nella Quinta Repubblica che un ex capo di Stato francese viene condannato in via definitiva per reati di corruzione. La condanna riguarda un caso in cui Sarkozy è stato riconosciuto colpevole di aver tentato di ottenere informazioni riservate da un magistrato nel 2014, offrendo in cambio un incarico prestigioso.
Nonostante la conferma della condanna, Sarkozy ha annunciato l’intenzione di ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sostenendo di essere vittima di un’ingiustizia.
Oltre a questa condanna, Sarkozy è coinvolto in altri procedimenti legali, tra cui un’imminente processo per presunto finanziamento illegale della sua campagna presidenziale del 2007, in cui si ipotizza abbia ricevuto 50 milioni di euro dal leader libico Muammar Gheddafi.
Per quanto riguarda la pena attuale, Sarkozy, che compirà 70 anni il 28 gennaio 2025, potrebbe richiedere la libertà condizionale, il che potrebbe portare alla revoca del braccialetto elettronico.
Siamo in mano a degli assassini senza scrupoli e a questo punto è meglio far parte dei molti che subiscono anche qui in Occidente soprusi ingiustizie
depredazioni almeno non siamo loro complici
L’unica consolazione ,che anche i potenti creperanno e nn si porteranno niente all’altro mondoaA
Magra consazione
Si dice :” SEGUI I SOLDI” e trovarai MOLTE sorprese