Chi sosterrebbe che Plinio il Vecchio avesse pensato di scrivere un libro di fiabe, quando scrisse la sua Naturalis Historia? Eppure nessun altro autore antico ha mai parlato tanto di UFO come lui.
Ecco che cosa scrive il serissimo generale romano nel secondo libro della sua opera, dal capitolo 31 al capitolo 35:
[31] E per contro hanno visto molti soli contemporaneamente, né sopra lo stesso né sotto, ma di traverso, né vicino né contro la terra né di notte, ma o all’alba o al tramonto. Una volta, riferiscono, furono avvistati a mezzogiorno sul Bosforo, e durarono da quell’ora del mattino fino al tramonto. Anche gli antichi videro spesso tre soli, come sotto i consolati di Spurio Postumio e Quinto Muzio (174 a. C.), di Quinto Marcio e Marco Porcio (118 a. C.), di Marco Antonio e Publio Dolabella (44 a. C.), di Marco Lepido e Lucio Planco (42 a. C.), e nella nostra epoca si vide sotto il principato del Divino Claudio, durante il suo consolato con il collega Cornelio Orfito (51 d. C.). Più di tre insieme non furono mai visti alla nostra epoca.
[32] Anche tre lune, essendo consoli Gneo Domizio e Caio Fannio (122 a. C.), apparvero.
[33] Riguardo a ciò che per lo più definirono soli notturni, una luce dal cielo fu vista di notte essendo consoli Caio Cecilio e Gneo Papirio (113 a. C.) e spesse altre volte, sì che la notte era illuminata come il giorno.
[34] Uno scudo ardente da occidente verso oriente scintillando attraversò (il cielo) al tramonto del sole, essendo consoli Lucio Valerio e Caio Mario (100 a. C.).
[35] Fu vista una scintilla cadere da una stella ed accrescersi mentre si avvicinava alla terra e, dopo essere diventata grande quanto la luna, illuminare come in un giorno nuvoloso, e poi, risalendo verso il cielo, diventare una torcia; (questo prodigio) fu visto una sola volta essendo consoli Gneo Ottavio e Caio Scribonio (76 a. C.). Lo vide il proconsole Silano insieme al suo seguito.
Plinio il Vecchio, da semplice cronista, non si ferma ai soli avvistamenti ma riporta anche i fenomeni tipici associati da sempre alla presenza degli UFO. Ecco cosa dice qualche capitolo dopo:
[57] Inoltre per quanto riguarda il cielo inferiore è registrato nei documenti che sia piovuto latte e sangue essendo consoli Manlio Acilio e Caio Porcio (114 a. C.) e spesse altre volte, come (una pioggia di) carne essendo consoli P. Voumnio e Servio Sulpicio (461 a. C.), e che di questa non imputridisse quella che gli uccelli non avevano portato via; inoltre (una pioggia di) ferro in Lucania l’anno prima (54 a. C.) che Crasso venisse ucciso dai Parti con tutti i soldati lucani che erano con lui, dei quali vi era un grande numero nell’esercito. La forma che piovve di quel ferro era simile alle spugne. Gli aruspici predissero ferite superiori. Essendo poi consoli Lucio Paolo e Caio Marcello (50 a. C.) piovve lana (capelli d’angelo? N.d.A.) vicino al castello di Conza, proprio dove l’anno dopo Tito Annio Milone fu ucciso.
Durante il processo per la stessa causa è riportato nei documenti di quell’anno che piovvero mattoni cotti.
[58] Strepito d’armi e suoni di tromba uditi dal cielo durante le guerre cimbriche (101 a. C.) ci è stato riferito, spesse volte sia prima che dopo. Inoltre nel terzo consolato di Mario (103 a. C.) dagli amerini e dai tudertini furono viste armi celesti (che provenivano) da oriente e da occidente e che tra di loro si scontravano, ed erano respinte quelle che erano (giunte) da occidente. Non c’è nessuna meraviglia nel vedere fiamme nello stesso cielo e spesso si sono viste nubi prese da un fuoco più grande.
[85] … un grande portento di terre nella campagna di Modena essendo consoli Lucio Marcio e Sesto Giulio (91 a. C.). Infatti due monti si scontrarono tra di loro con un grandissimo frastuono, avanzando e retrocedendo, tra di loro fiamme e fumo salivano in cielo in pieno giorno; assisteva dalla via Emilia una grande moltitudine di cavalieri romani e di loro familiari e di viandanti. Per il loro scontro tutti i casolari furono rasi al suolo, e molti animali, che si trovavano dentro, restarono uccisi.
Troviamo anche in Plinio, al capitolo 56, un curioso accenno a strani fulmini:
In Italia, fra Terracina ed il tempio di Feronia, si è smesso di fabbricare torri in tempo di guerra, perché tutte erano distrutte dal fulmine.
I resoconti di Plinio hanno fedeli ed impressionanti riscontri in tutto il mondo antico, dalla Bibbia al Mahâbhârata, dai racconti sumerici alle leggende dei popoli precolombiani.
Nella Bibbia, in Es 19, 16 leggiamo:
e appunto al terzo giorno, all’alba, vi furono tuoni, lampi, una nube densa sopra il monte, e un suono fortissimo di tromba…
E più avanti, ai versetti 18-19:
Ora il monte Sinai fumava tutto, perché Iahvé era sceso su di esso nel fuoco, e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava fortemente. Il suono della tromba diventava sempre più grande: Mosè parlava, e Iahvé gli rispondeva con dei tuoni.
E’ proprio lo stesso linguaggio di Plinio: i due autori stanno forse parlando delle stesse cose? Ad esempio quello che dice Plinio nel capitolo 56, a proposito di strani fulmini che distruggevano, esclusivamente e sistematicamente, soltanto le fortificazioni militari, leggiamo in Gios 6, 20 a proposito della distruzione di Gerico:
Ed avvenne che, come il popolo ebbe udito il suono della tromba ed ebbe lanciato un grande grido di guerra, le mura della città furono distrutte.
Fu forse uno dei “fulmini” descritti da Plinio a distruggere le mura di Gerico?
Su un arazzo giainista tessuto in memoria del 24° Gina (Maestro di vita), Mahavira, vissuto nel VI secolo a. C., l’artista indiano, nel raffigurare la processione in onore del Maestro, ha disegnato anche nel cielo sullo sfondo, a scopo celebrativo, alcune navicelle sospese in aria. Questo particolare richiama naturalmente uno dei grandi poemi dell’India, il Mahâbhârata, che è il più grande poema – lirico, epico e sapienziale – di tutta la storia dell’umanità.
Nel III libro di quest’opera, il Vanaparva (Libro della foresta), il re Sâlva Salì su per il cielo con la sua nave Saubha che può andare ovunque (15, 15). La descrizione di questa nave è esattamente ciò a cui si è ispirato l’artista nel disegnare le sue navicelle nell’arazzo: frutto di magia era la nave di Sâlva, decorata d’oro, munita d’asta, di stendardo, di carena e di lanciamissili (18, 12).
(Michele Manher)