Che alla fine nel mirino dell’indagine dovesse finirci anche lui era considerato inevitabile. Perché nei mesi convulsi della prima ondata Covid era lui, Domenico Arcuri, il boiardo di Stato catapultato dal governo Conte in prima fila nella lotta al virus, a tirare le fila di tutto quanto. E ipotizzare che avesse assistito ignaro di tutto al gigantesco pasticcio delle 800 milioni di mascherine importate dalla Cina a un prezzo folle (un miliardo e 250 milioni di euro), arricchendo una linea di faccendieri, sarebbe stato fare un torto alla sua intelligenza.
Così, mese dopo mese, l’inchiesta della Procura di Roma sulle maschere made in China si è avvicinata sempre di più al ruolo dell’ormai ex commissario straordinario, rimpiazzato – come primo atto del governo Draghi – con il generale alpino Figliuolo. E ieri arriva la botta, con la notizia – anticipata dalla Verità – che Arcuri è indagato per peculato, pena da quattro anni di carcere a dieci e mezzo. Insieme a lui, Antonio Fabbrocini, suo braccio destro, responsabile unico della commessa passata per l’intermediazione dell’ex giornalista Rai Mario Benotti e dei suoi complici. Una cordata che si è messa in tasca, nel 2020, una provvigione da oltre sessanta milioni.