Con i suoi 216 milioni di abitanti, la Nigeria si conferma come il paese più popoloso dell’Africa e il settimo a livello mondiale. Questa cifra, che supera di oltre tre volte la popolazione italiana (circa 60 milioni), rappresenta solo l’inizio di una crescita destinata a segnare profondamente gli equilibri globali.
Le proiezioni delle Nazioni Unite dipingono uno scenario ancora più inquietante: entro il 2050, la popolazione nigeriana potrebbe superare i 400 milioni di abitanti, posizionando il paese al terzo posto nella classifica mondiale, dietro solo a India e Cina. Una crescita che equivale ad aggiungere ogni anno l’equivalente dell’intera popolazione della Slovacchia.

Questo sviluppo demografico poggia su un tasso di urbanizzazione tra i più rapidi al mondo. Negli ultimi cinquant’anni, le città nigeriane sono cresciute a un ritmo annuo del 6,5%, trasformando città come Lagos in megalopoli da oltre 20 milioni di abitanti. Secondo le stime, entro il 2050 il 77% dei nigeriani vivrà in aree urbane, una trasformazione che richiederebbe urgenti politiche di pianificazione territoriale, investimenti massicci in infrastrutture e servizi essenziali. Tuttavia, questa esplosione urbana è avvenuta senza un corrispondente sviluppo sociale e infrastrutturale, lasciando spazio a gravi squilibri e sfide imponenti per il Paese.

L’idea che l’emigrazione verso Paesi come l’Italia possa rappresentare una soluzione alla sovrappopolazione nigeriana si scontra con limiti strutturali profondi. La Nigeria cresce a un ritmo talmente rapido che anche spostamenti migratori di dimensioni eccezionali avrebbero un effetto marginale sulla pressione demografica interna. Per ridurre significativamente la crescita demografica attraverso l’emigrazione, bisognerebbe aumentare i flussi a milioni di persone ogni anno — un numero insostenibile per qualsiasi sistema migratorio mondiale.
Il problema non riguarda solo la capacità numerica di accoglienza. L’Italia, infatti, deve già affrontare sfide interne complesse dal punto di vista sociale, economico e infrastrutturale. Le risorse pubbliche sono sotto forte pressione, il mercato del lavoro è fragile e i servizi sociali, sanitari ed educativi sono costantemente messi a dura prova. Un aumento significativo dei flussi migratori aggraverebbe queste difficoltà, causando instabilità e problemi di integrazione.

Una situazione del genere rischierebbe di mettere seriamente in crisi la stabilità sociale dell’Italia, alimentando tensioni, conflitti e malcontento. Molti cittadini potrebbero vedere peggiorare la propria qualità della vita, con servizi pubblici sempre più sovraccarichi, difficoltà crescenti nell’accesso alla sanità, alla scuola e al lavoro, e una percezione crescente di abbandono da parte delle istituzioni. L’Italia si troverebbe così a dover gestire problemi già profondi e complessi — come disoccupazione, povertà e crisi abitativa — senza disporre delle risorse economiche, strutturali e organizzative necessarie per affrontarli in modo efficace.
In questo contesto, l’emigrazione non può essere considerata un meccanismo efficace per “scaricare” o trasferire altrove la crescente pressione demografica che si registra in Nigeria. Spostare milioni di persone disperate da un continente all’altro non è una soluzione realistica né sostenibile, né dal punto di vista numerico, né da quello umano, sociale ed economico. La sfida è molto più complessa e non può essere affrontata con soluzioni semplicistiche. Servono interventi strutturali, politiche efficaci e strategie di sviluppo mirate all’interno dello stesso Paese africano, capaci di agire sulle cause profonde della crescita demografica incontrollata.

Tentare di risolvere il problema semplicemente con l’emigrazione è un’illusione miope e pericolosa. È una strategia parziale e temporanea che non scalfisce minimamente la portata della crisi demografica della Nigeria. Al contrario, finisce per riversare nuove tensioni esplosive e difficoltà insostenibili nei Paesi che li accolgono, rischiando di travolgerli e danneggiarli con un’ondata di problemi sociali, economici e infrastrutturali per cui non sono preparati. È un gioco al massacro che nessuno può permettersi.
