Nel suo ultimo discorso, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato di una “battaglia esistenziale” contro l’Iran, invitando i cittadini israeliani a immaginare cosa accadrebbe se Teheran ottenesse armi nucleari e migliaia di missili. Ma queste sono ipotesi, non fatti. E queste supposizioni sono state usate come pretesto per attaccare l’Iran.
Netanyahu non ha affermato che l’Iran possiede armi nucleari. Ha costruito uno scenario del terrore basato su un “e se”:
“Pensate a cosa accadrebbe se l’Iran disponesse di un’arma nucleare da lanciare sulle montagne di Israele.”
Una strategia comunicativa ben nota e ampiamente utilizzata, che consiste nello sfruttare la paura di una minaccia futura per giustificare attacchi nel presente.
La realtà è ben diversa: secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), l’Iran non possiede armi nucleari e il suo programma nucleare è costantemente monitorato. Anche gli Stati Uniti, pur mantenendo un atteggiamento critico nei confronti di Teheran, hanno smentito che l’Iran stia sviluppando armi nucleari. Allo stesso modo, Israele non ha mai presentato prove concrete dell’esistenza di un programma nucleare militare iraniano.
Ciò che Netanyahu omette, invece, è che Israele stesso dispone di un arsenale nucleare reale, anche se mai ufficialmente dichiarato. Secondo stime indipendenti, Israele possiede tra le 80 e le 200 testate nucleari. È dunque singolare che un Paese armato atomicamente invochi una “guerra di salvezza” ontro un nemico che, secondo le valutazioni degli organismi internazionali, non possiede né starebbe sviluppando l’arma temuta.
Il rischio di questa retorica è chiaro: trasformare una minaccia ipotetica in un pretesto per guerre preventive, destabilizzando ulteriormente una regione già fragile.
La minaccia nucleare iraniana, quindi, non è una realtà, ma una costruzione politica. È nella mente di Netanyahu, non nei rapporti ufficiali. E nel frattempo, è Israele a possedere le armi che dice di temere.