Anche Alessandro Capucci, cardiologo già primario a Piacenza e ex direttore della clinica di cardiologia di Ancona. Il suo appello si basa su uno studio condiviso con altri medici che nel riminese hanno curato 350 pazienti con idrossiclorochina (HCL). (Leggi QUI lo studio)
Con quali risultati, professore?
Su 350 pazienti trattati, 76 hanno ricevuto una combinazione di HCL e azitromicina (antibiotico), i restanti 274 hanno ricevuto solo l’idrossiclorochina. Ebbene, soltanto in 16 sono entrati in ospedale (poco più del 5%), non in terapia intensiva. Appena un 2,9% ha avuto complicazioni come disturbi gastrointestinali, ma nessuno – e dico nessuno – ha avuto problemi di sincopi, aritmie o morte improvvisa.
E questo che cosa significa?
Che l’Aifa deve rivedere il suo giudizio sull’idrossiclorochina e permettere il suo reinserimento immediato nei protocolli di cura.
Ma c’è solo il suo studio.
No, c’è un utilizzo sempre più massiccio da parte di medici ospedalieri e di base. Inoltre c’è una coincidenza incredibile con il lavoro di un’altra collega che utilizza l’idrossiclorochina, la dottoressa Paola Varese dell’ospedale di Ovada, Alessandria.
Sì, è una delle artefici del protocollo domiciliare della Regione Piemonte.
Esatto, e anche lei ha avuto la stessa percentuale di successi. È un dato importantissimo perché se c’è una sovrapposizione così stringente tra due ricerche significa che siamo sulla strada giusta.
In sostanza, che cosa dicono i vostri studi?
Che se tratti i pazienti a domicilio ai primi sintomi influenzali – ribadisco ai primi sintomi -, con idrossiclorochina, hai il 95% di guarigioni a domicilio. Questo sarebbe fondamentale in questo momento in cui stiamo occupando in modo indiscriminato gli ospedali con pazienti covid positivi a scapito di pazienti che hanno altre patologie e non possono essere trattati
Facciamo un passo indietro. L’uso dell’idrossiclorochina nella patologia da covid 19 è stato proibito…
Più che proibito, sconsigliato dall’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) in accordo con l’OMS e l’EMA (Agenzia Europea dei Medicinali).
Sono agenzie autorevoli, però. Crede che si siano tutti sbagliati?
Per la verità hanno poi ammesso di essersi sbagliati. Ma bisogna capire che cosa è successo.
Cioè?
Mi spiego: l’Aifa ha tenuto in considerazione solo studi randomizzati pubblicati su prestigiose riviste come il British Medical Journal (BML) e Lancet, le quali sono abbastanza concordi nel dimostrare un’assenza di efficacia dell’idrossiclorochina nei pazienti covid. Gli studi come i nostri o quello pubblicato dalla dottoressa Varese, sono dei “Registri” e non sono studi randomizzati, quindi non vengono considerati come scienza.
A questo punto non c’è neanche partita.
Eh no, perché il problema invece è scientifico, di metodo e di risultati. In sostanza non è stato tenuto in considerazione il timing dell’utilizzo della clorochina nei pazienti covid. Gli studi randomizzati sono stati effettuati solo su due tipi di popolazione: quelli ammalati che arrivavano già in ospedale e spesso erano in terapia intensiva, quindi in uno stadio avanzato della malattia oppure pazienti che ricevevano l’idrossiclorochina come profilassi, per non ammalarsi di covid.
E in questi casi non ci sono stati risultati ottimali?
Esatto, queste sono due tipologie di pazienti che non hanno avuto benefici sostanziali dall’uso. Ma si poteva capire facilmente.
Perché?
Perché l’idrossiclorochina non ha un effetto antivirale, ma quello che viene sfruttato è il suo effetto contro l’evoluzione della “cascata” infiammatoria, quella in cui l’organismo elabora una tempesta di citochine, che fa precipitare la situazione. Ecco: la clorochina impedisce la tempesta di citochine, permettendo così al nostro sistema immunitario di combattere bene il covid.
Sta dicendo che l’uso dell’HCL è stato bocciato perché considerato in maniera sbagliata?
Esatto, per poter agire al meglio, l’idrossiclorochina deve essere somministrata subito alla comparsa dei primi sintomi, non in fase avanzata quando ormai la tempesta è in atto. Il virus infatti provoca un eccesso di difese dell’organismo che fa precipitare la situazione con la sindrome da coagulazione intravascolare disseminata.
E per questo serve l’eparina?
Esatto, che va assunta proprio per evitare questo secondo stadio della malattia, il più pericoloso. Ma la clorochina agisce impedendo questo scatenarsi della “tempesta”, aiutando il nostro organismo a organizzare le forze contro il virus.
Nelle osservazioni critiche non c’era anche un problema di contrindicazioni dovute a sovradosaggio del farmaco?
Sì, questo aspetto riguarda la cosiddetta safety (la sicurezza), non l’efficacia. Praticamente sono stati presi in considerazione studi che però partivano da una dose di clorochina eccessiva, noi citiamo un lavoro recente che dimostra come i pazienti trattati in cronico con HCL, come quelli affetti da artrite reumatoide o nei casi di lupus eritematoso sistemico, non hanno effetti collaterali. Nei nostri registri, con i dosaggi giusti, non c’è alcun problema di sicurezza.
Ma scusi, oggi il medico può ancora prescrivere idrossiclorochina?
Certo, con una ricetta bianca, ma non con quella mutuabile se la diagnosi è covid.
Perché avete scelto la strada dell’appello politico?
Perché anche l’ultimo incontro informale che abbiamo avuto l’altra sera con l’Aifa (presenti Capucci, la dottoressa Varese, il dottor Mangiagalli e il dottor Cavanna ndr.) non è andato bene. Non c’è stata disponibilità all’ascolto. Abbiamo cercato di far capire che è molto difficile, se non impossibile, portare a compimento uno studio randomizzato in pazienti a domicilio nei primi giorni della malattia. In America e in molti altri stati non esiste la rete di medicina territoriale che abbiamo in Italia, ma qui fin dall’inizio abbiamo impedito ai medici di andare a casa, limitandoci solo a dirgli di fare wait & see (osservazione e attesa) tranne qualche medico “eroico”.
E ora la rete dei medici si sta allargando?
Assolutamente sì, ci sono moltissimi gruppi di medici che stanno perorando la causa dell’idrossiclorochina perché hanno visto che funziona. Il problema sa qual è?
Quale?
Che il covid è una patologia poliedrica, in rapida evoluzione, bisogna applicare un’idea di timing scientifico che difficilmente si è disposti ad applicare. C’è un fattore decisivo di tempistica, in questo i mass media non ci aiutano a farlo comprendere.
Perché?
Perché ormai sappiamo tante cose del covid, a cominciare dal fatto che vive due tipi di stadi.
Stadi?
Sì. Il primo è quello dei classici sintomi influenzali, ma se non lo si prende in tempo o il nostro organismo non riesce a far fronte a causa della tempesta sopraggiunta, si passa al secondo stadio. È un passaggio molto rapido.
Stanno uscendo protocolli che si limitano a parlare di paracetamolo per il primo stadio.
Questa è una follia, me lo lasci dire. Il paracetamolo falsa la lettura dell’evoluzione della malattia.
Si spieghi.
La febbre è una difesa dell’organismo quando viene attaccato da un agente infettivo. Il paracetamolo abbassa la febbre e i sintomi nel primo stadio, ma può favorire la diffusione del virus all’interno dell’organismo: stai meglio, ma intanto la patologia va avanti. Il paracetamolo ti riduce la capacità di capire l’evoluzione della malattia.
Eppure, in Lombardia con l’Istituto Sacco è consigliato solo quello?
Ho visto che è il protocollo proposto dal professor Massimo Galli, che poi proibisce in questa fase l’idrossiclorochina, gli antibiotici e il cortisone. Lo ritengo errato. Certi virologi mi sembrano loro i veri negazionisti. Negano che esistano delle cure e che le terapie devono essere somministrate subito.
Forse c’è un problema di diagnosi?
Sicuramente. Ci siamo affidati troppo al tampone, che spesso è fallace, ma il tampone non può fare diagnosi, non esiste in nessuna parte nella Medicina che un tampone costituisca diagnosi. Bisogna tornare a fare diagnosi partendo dai sintomi e dall’osservazione del paziente. Abbandonare l’aspetto clinico è stato decisivo per cacciarci nella situazione attuale.