La notizia riguardante il presunto restringimento della Luna di oltre 45 metri (150 piedi), attribuito al graduale raffreddamento del suo nucleo nel corso degli ultimi “centinaia di milioni di anni“, solleva dubbi legati alla sua attendibilità.
La Luna ha un diametro di circa 3.474 chilometri, quindi un restringimento di soli 45 metri in centinaia di milioni di anni è trascurabile in termini relativi. Inoltre poiché la scienza non può stabilire con certezza le dimensioni esatte della Luna in un lontano passato, la stima di una riduzione di 45 metri, basata su modelli geofisici, va interpretata con scetticismo, considerando le molteplici variabili coinvolte e l’incertezza intrinseca nei processi geologici su scale temporali così estese.
La questione che sorge spontanea è, perché proporre una notizia apparentemente insignificante per i lettori? La risposta emerge esplorando l’articolo, in cui attraverso una serie di collegamenti si passa dai 100 milioni di anni, al raffreddamento del nucleo, passando dai 45 metri di restringimento lunare, per giungere infine all’argomento centrale rappresentato dai terremoti. Questo percorso conduce a stabilire che le missioni lunari con equipaggio umano, in particolare quelle legate alla Artemis III, sono intrinsecamente pericolose. Ecco dove si voleva andare a parare.
Dopo oltre mezzo secolo di presunte gesta spaziali, il mito dello sbarco sulla luna continua a suscitare scetticismo tra coloro che preferiscono affrontare la realtà anziché accontentarsi di narrazioni convenzionali. Si potrebbe giustamente chiedere: cosa è successo a quell’ardire degli anni ’60? Dopo sei missioni lunari consecutive, tutte condotte da astronauti statunitensi, sembrerebbe che la Luna sia diventata improvvisamente una destinazione quasi impossibile. La scusa del rischio sismico sembra essere emersa solo ora, come se negli anni ’60 i terremoti lunari non ci fossero.
È difficile non notare la mancanza di progressi tangibili nel ritorno sulla Luna, soprattutto considerando i rapidi sviluppi tecnologici e scientifici avvenuti nel corso degli ultimi decenni. Mentre all’epoca sembrava che conquistare la Luna fosse un’impresa relativamente semplice, ora ci sono improvvisi ostacoli che, convenientemente, giustificano l’assenza di nuove missioni umane sulla sua superficie.
Le numerose rinunce annuali e le continue spiegazioni elusive sembrano indicare un’incapacità crescente di replicare ciò che, secondo la narrazione ufficiale, è stato realizzato negli anni ’60. È difficile credere che con l’evoluzione della tecnologia e la conoscenza accumulata nel corso delle decadi, non siamo in grado di emulare quanto fatto mezzo secolo fa.
Forse, invece di attribuire la mancanza di progressi e le scosse sismiche lunari, dovremmo esaminare più attentamente le ragioni dietro questa incapacità di tornare sulla Luna. Sospetti di complotti e dubbi persistono, alimentati dalla reticenza delle agenzie spaziali nel fornire risposte chiare e convincenti. Mentre la Luna rimane un luogo affascinante e misterioso, la sua elusiva richiama più domande che risposte, mantenendo il dibattito acceso tra coloro che preferiscono mettere in discussione anziché accettare ciecamente la narrazione ufficiale.
Tutte le volte che è stata rimandata la Missione Artemis III
Perché da 50 anni non ci sono state ulteriori missioni umane dirette sulla Luna?
L’esplorazione della Luna secondo la NASA presenta diverse sfide tecniche e scientifiche che devono essere superate per garantire il successo delle missioni umane o robotiche. Alcune delle principali sfide includono:
- Radio raffreddamento: Le temperature sulla Luna possono variare drasticamente, con estremi di caldo e freddo. Sviluppare sistemi di raffreddamento efficaci è fondamentale per garantire che gli strumenti e i veicoli spaziali possano funzionare correttamente.
- Protezione dalle radiazioni: La Luna non ha una atmosfera significativa che schermi la superficie dalla radiazione solare e cosmica. Ciò significa che gli astronauti e le attrezzature devono essere protetti adeguatamente per evitare danni da radiazioni.
- Sopravvivenza in condizioni di vuoto: L’assenza di atmosfera sulla Luna comporta sfide uniche, come la necessità di progettare tute spaziali e attrezzature che possano operare in condizioni di vuoto.
- Mobilità sulla superficie lunare: La progettazione di veicoli lunari o robot che possano muoversi in modo efficiente sulla superficie irregolare della Luna rappresenta una sfida. La presenza di polvere lunare (regolite) può complicare la mobilità e l’ingresso nelle attrezzature.
- Comunicazioni: Garantire comunicazioni affidabili tra la Terra e la Luna è cruciale. La distanza può causare ritardi nella trasmissione dei segnali, richiedendo tecnologie e protocolli di comunicazione adeguati.
Ancora oggi, a più di 50 anni dall’avvio dell’esplorazione spaziale, uno dei principali ostacoli per le missioni nello spazio è costituito dalle pericolose radiazioni alle quali gli astronauti sarebbero esposti.
In un video ufficiale della NASA del 2014, creato per illustrare la nuova navicella spaziale Orion, l’ingegnere della NASA Kelly Smith ha dichiarato:
“Allontanandoci ulteriormente dalla Terra, passeremo attraverso la Fascia di Van Allen, un’area carica di radiazioni pericolose. Radiazioni di questo tipo possono danneggiare i sistemi di guida, i computer a bordo o altre componenti elettroniche. […] I sensori a bordo registreranno i livelli di radiazione affinché gli scienziati li studino. Dobbiamo risolvere queste problematiche prima di poter mandare delle persone oltre questa regione dello spazio.”
Questa dichiarazione ha suscitato stupore: in che senso dobbiamo risolvere queste problematiche prima di poter mandare persone oltre le fasce di Van Allen? Non erano già stati mandati astronauti a bordo delle navicelle Apollo per andare sulla Luna? Non si trattava quindi di un problema risolto?
Evidentemente no. Queste dichiarazioni mettono in dubbio la ricostruzione ufficiale di quanto realmente accaduto nell’era spaziale, ma consideriamo anche ulteriori aspetti.
Le fasce di Van Allen
Il 31 gennaio 1958 partiva da Cape Canaveral l’Explorer 1, il primo satellite degli Stati Uniti, con lo scopo, tra gli altri, di determinare in che misura lo spazio fosse radioattivo. A tal fine, il professor Van Allen dell’Università dell’Iowa e i suoi colleghi avevano messo un contatore Geiger nel satellite, che avrebbe proceduto con un’orbita ellittica tra i 360 e i 2500 km da terra per raccogliere il maggior numero di dati possibile. Come previsto, la lettura del Geiger mostrò che la radiazione aumentava all’aumentare della distanza da terra per poi, con sorpresa del professor Van Allen, diminuire successivamente.
Fu solo con altre due missioni che il team di Van Allen riuscì ad avere dati sufficienti per intuire l’esistenza di fasce radioattive che circondano la Terra, cui venne dato il nome di fasce di Van Allen in onore del professore stesso. Radiazioni talmente elevate che avevano mandato in tilt i contatori.
Le missioni Apollo, essendo state le sole che avrebbero superato le fasce di Van Allen con un equipaggio a bordo, rappresentano un evento unico che non si è mai più verificato. E a oggi, come espresso dall’ingegnere della NASA Kelly Smith, le radiazioni costituiscono sempre un problema di cruciale importanza.
Problema che viene tenuto in considerazione anche dall’Agenzia Spaziale Europea, sul cui sito si legge:
“Le radiazioni rappresentano un ovvio motivo di preoccupazione per le missioni fornite di equipaggio. Nel breve termine, le attività che prevedranno un equipaggio sono limitate a missioni a bassa altitudine e soprattutto a bassa inclinazione.”
Tutti elementi che gettano un’oscura luce sulle missioni Apollo, perché se il problema delle radiazioni non è stato risolto ai giorni nostri, tanto meno lo poteva essere stato cinquant’anni fa.
In ogni caso, probabilmente per una certa assenza di dati al riguardo, ecco dunque il volo di prova, nel dicembre 2014, dell’Orion, ideato proprio in vista di future missioni con equipaggio per l’esplorazione della Luna e di Marte.
Come si può leggere nel blog ufficiale della NASA relativo alla missione:
“Per quanto Orion non trasporterà alcun passeggero nel corso del volo di prova, è progettato per astronauti, e gli ingegneri sono desiderosi di scoprire che condizioni vi saranno all’interno della cabina quando l’Orion volerà attraverso delle forti radiazioni e a temperature estreme nel corso di questo volo di prova.”
Continua un altro sito specializzato:
“In questa orbita ellittica, l’Orion dovrà passare attraverso la fascia di radiazioni, e le radiazioni saranno misurate all’interno del modulo per valutare i materiali protettivi che proteggeranno i futuri equipaggi nell’ambiente radioattivo ostile rappresentato dalla spazio profondo.”
Già nel 1966, due anni dopo aver iniziato a collaborare con Kubrick per la stesura della sceneggiatura di 2001: Odissea nello Spazio, il celebre scrittore Arthur C. Clarke aveva dichiarato come le missioni Apollo si sarebbero verificate nel periodo peggiore da un punto di vista di ciclo solare e delle conseguenti radiazioni emesse dal Sole, specificando come
“gli astronauti si troveranno a viaggiare nelle peggiori condizioni possibili; nel caso di un picco di attività solare, gli astronauti moriranno nel giro di poche ore a seguito dell’esposizione a radiazioni”.
Clarke, in modo più rassicurante ma in contraddizione con quanto detto sopra, ha aggiunto che le missioni solitamente vengono eseguite durante le fasi di minima attività solare, consigliando agli astronauti di rimanere all’interno dell’atmosfera terrestre durante i picchi massimi. Inoltre, ha affermato che un attento monitoraggio dei brillamenti solari permetterebbe di prevedere le tempeste solari con un giorno di anticipo, senza rappresentare un ostacolo per i viaggi lunari.
Tuttavia, tali affermazioni sembrano sorprendenti considerando che per raggiungere la Luna sono necessari quasi quattro giorni e che essa non è protetta dalle radiazioni. Nel 1970, Clarke aveva dichiarato che durante le missioni si poteva tornare a casa rapidamente, ma questa affermazione appare imprecisa per un uomo di scienza.
Nel 1993, lo Space Radiation Analysis Group (SRAG) della NASA dichiarò che durante le missioni Apollo si evitò per fortuna l’esposizione a intensi brillamenti solari, i quali avrebbero potuto causare dosi letali di radiazioni per gli astronauti al di fuori della magnetosfera. La previsione accurata di tali eventi solari non era ancora possibile, e gli effetti biologici a lungo termine delle radiazioni cosmiche non erano completamente compresi.
Da queste dichiarazioni emerge che le missioni Apollo sembrano aver avuto successo grazie alla fortuna, con la NASA che ammette che missioni future con permanenze più lunghe renderanno difficile evitare tali brillamenti solari. La NASA ribadisce che, eccezion fatta per le missioni Apollo sulla Luna, le missioni spaziali con equipaggio avvengono entro la magnetosfera terrestre. La protezione dell’equipaggio dalle radiazioni rimane un problema da risolvere.
Questo è soltanto una minima parte delle questioni che suscitano dubbi sulla veridicità delle missioni spaziali che dichiarano di aver portato l’uomo sulla Luna negli anni ’60 e ’70.
Ma chi sono quegli idioti che vogliono far credere una STRONZATA del genere.